La Cassazione si pronuncia sul riparto di giurisdizione in materia di rifiuti.

 Si ricorderà che qualche tempo fa la Corte Costituzionale si era pronunciata sulla natura non tributaria della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

Quale conseguenza di tale pronuncia ora la Cassazione s’interroga sulla giurisdizione in materia.

Più precisamente, la Cass. si domanda ora se, in questa materia, debba continuare ad esistere la giurisdizione tributaria.

Osserva la Cassazione che   A favore della natura non tributaria è poi l’assenza, all’interno della disciplina della Tia, di norme riguardanti l’accertamento, le sanzioni e il contenzioso. Ulteriori elementi importanti sono costituiti dal fatto che la Tia è soggetta ad Iva ed è riscossa tramite fatture, non qualificabili come atti impositivi. Tutti questi elementi, che portano a escludere la natura tributaria della Tia, vanno considerati nel quadro normativo più generale nel quale si colloca il passaggio dalla Tarsu alla Tia e alla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, caratterizzato da una scelta legislativa per la privatizzazione che giustifica il passaggio dalla tassa alla tariffa con connotazioni di corrispettività.

Dunque, si domanda la Cassazione, se non si tratta di tributi, è giusto che decida in proposito la Commissione Tributaria?

Questa la risposta “Deve ordinarsi la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Cancelleria della Corte Costituzionale per l’esame della questione, rilevante e non manifestamente infondata, di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203 – convertito con modificazioni nella legge 2 dicembre 2005, n. 248 – nella parte in cui sono devolute alla cognizione della giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) lo smaltimento dei rifiuti urbani” (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 15/06/2009, n. 13894)

E quindi non resta che attendere la decisione in proposito della consulta.

Nelle more, e cioè in attesa che il Giudice delle leggi si pronunci, si ritiene che in materia continui a sussistere la giurisdizione tributaria.

La ragione è semplice: se si potesse affermare, in proposito, la giurisdizione ordinaria, l’ordinanza della Cassazione – che sostiene la giurisdizione tributaria in materia, ma ne mette in dubbio la legittimità – non avrebbe ragione di esistere.

È bene avvertire che questa questione non ha un’influenza diretta sulla questione relativa alla giurisdizione sulle controversie dirette ad ottenere il recupero dell’Iva indebitamente caricata sulle somme chieste a titolo di smaltimento rifiuti.

L’Iva, la TARSU, la TIA e la richiesta di rimborso

 Ciclicamente dal 2007 appaiono su internet ed anche altrove articoli del seguente tenore: con una recente Sentenza la Cassazione ha dichiarato illegittima l’applicazione dell’Iva sulla Tarsu; potete chiedere quindi indietro dieci anni di Tarsu se fate così e cosà. Il “così e cosà” comporta di solito l’iscrizione a qualche associazione – onlus – patronato e, inevitabilmente, il pagamento di una quota associativa.

Anche se ridere fa buon sangue, però, sulle tasse è difficile scherzare. Soprattutto è pericoloso fidarsi del passaparola e del “si dice”.

Il consiglio è risalire alla fonte. Si cita una “recente sentenza della cassazione”; quale? Si fa cenno a “migliaia di ricorsi” pendenti. Con quale esito?

Il fatto è che la questione è purtroppo più complicata di quanto possa apparire da certe trionfalistiche (e, a volte, imprecise quando non approssimativamente scopiazzate)  affermazioni.

Andiamo con ordine. Avverto subito che questa è una semplificazione, dato che ci sono stati numerosi interventi legislativi in materia, ma, ai fini illustrativi del presente articolo, reputo sia una semplificazione accettabile.

Bisogna innanzi tutto distinguere “tassa” e “tariffa” .

La tassa, sappiamo più o meno tutti cos’è: un tributo, una prestazione patrimoniale imposta a prescindere da altri fattori, che trova la sua fonte nella legge e legata alla capacità contributiva.

La tariffa può essere definita come un prezzo, determinato da qualche autorità pubblica (es: comune CIPE), di servizio reso. Un corrispettivo, insomma. È tariffa, per esempio, la tariffa del servizio idrico integrato. È tariffa la TOSAP (a differenza della COSAP)

La TARSU è nata, almeno come concetto, nel 1941 – legge 366 ed è stata modificata e resa obbligatoria dal Dlgs 786/1981.

Il decreto legislativo 507/93 ha imposto ai comuni di adottare una tassa annuale, usualmente denominata Tarsu, da applicarsi su base tariffaria, cioè secondo regolamenti comunali.

Il Decreto Ronchi -decreto legislativo n ° 22/1997 – ha previsto che i comuni istituissero una tariffa per la copertura integrale dei costi per lo smaltimento dei rifiuti, sicchè può dirsi che dal 1997 la Tarsu è (o avrebbe dovuto essere) sostituita dalla TIA (Tariffa Integrata Ambientale). Lo stesso decreto, con complesso regime transitorio, prevede l’abolizione della TARSU. Di rinvio in rinvio il legislatore ha concesso termine ai comuni fino al 2008 per sostituire gradualmente la Tarsu con la Tia.

Nel 2006, tuttavia, il legislatore, con il Decreto 152/2006 ha introdotto la Tariffa per la Gestione dei Rifiuti Urbani che costituisce un corrispettivo che ha soppresso la TIA.

Da tutta questa complessa successione di norme deriva che ci sono comuni in cui esiste la TARSU, altri in cui esiste la TIA e che, secondo tempi di attuazione non prevedibili, tutt’e due le entrate verranno sostituite dalla Tariffa per la Gestione dei Rifiuti Urbani.

Ma torniamo alla Tarsu /TIA e sveliamo l’assassino: l’assoggettamento di TIA e TARSU ad IVA è legittimo od illegittimo?.

La “Sentenza recente” della Cassazione cui accennavo all’inizio, di solito, non viene citata. Peraltro una puntigliosa ricerca e dei siti istituzionali e dei siti non istituzionali induce ad affermare che la Sentenza in questione è la 17526/2007.

In tale pronuncia la parola IVA non compare nemmeno una volta in tutto il testo. Non compare neppure il DPR 633/1972 – cioè la legge sull’Iva.

La Sentenza però dice un’altra cosa: interessante, utile, positiva, ma un’altra cosa: anche se la TIA è una tariffa, continua ad essere, in pratica, un tributo.

Va precisato che la Cassazione è intervenuta sul tema, magari incidentalmente, con le pronunce 13902/1997,  4895/2006, 5298 e 5297/2009, sostanzialmente confermando sempre, sia pure con diverse sfumature, la natura tributaria della prestazione.

Da questa tesi, qualche interprete (la genericità è d’obbligo perché di solito gli articoli non sono firmati) deduce che l’Iva – in quanto “tassa su tassa” – è illegittima.

Sul punto è intervenuta, or ora – e cioè con la Sentenza 238/2009 del 24/7/2009 – la Corte Costituzionale in persona. Il testo della Sentenza è disponibile gratuitamente sul sito della Corte stessa.

Sono dieci pagine di Sentenza – scritte in piccolo – ma quel che conta ai fini che interessano è riportato al punto 7.2.3.6.

Continua a leggere

Procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento di lavori, servizi e forniture: società strumentali, principio di avvalimento e norme a tutela della concorrenza (TAR Lombardia, Sez. I, Rel. Elena Quadri, sent. 5796/2008)

Con una interessante pronuncia, per la quale non constano ad oggi precedenti, il TAR Lombardia ha per la prima volta affrontato il tema dei rapporti intercorrenti tra l’art. 13 d.l. 223/2006, conv. in l. 248/2006, il principio di avvalimento e l’art. 41 cost.
Ha inoltre chiarito il ruolo e la funzione del predetto art. 13.
La vicenda è nata a seguito dell’esclusione, da parte di una stazione appaltante, di un concorrente che aveva partecipato alla procedura ad evidenza pubblica, facendo ricorso alla possibilità di avvalersi dei requisiti, strumenti, mezzi e unità di personale di una società a capitale interamente pubblico e partecipata in via principale da un ente territoriale.
La commissione di gara, sospesa la procedura ad evidenza pubblica, chiesto e ottenuto parere dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dichiarava aggiudicataria un’altra partecipante.
Il motivo di ricorso avverso tale atto della pubblica amministrazione qui di interesse è stata la prospettazione che l’art. 13 d.l. 223/2006 (cosiddetto «Decreto Bersani», conv. in l.248/2006) sarebbe stato erroneamente applicato, in quanto l’ausiliaria non sarebbe qualificabile come partecipante alla gara.
La norma, stabilisce che «Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti competenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto, né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti….»
Quanto alla questione se il soggetto di cui si avvale la società partecipante possa o meno essere qualificato come soggetto partecipante alla gara, il collegio giudicante ha rilevato come la legge stabilisca, all’art. 46 co. 4, che quando un concorrente si avvale dei requisiti di un altro soggetto, per soddisfare i requisiti previsti dai bandi di gara, sia il contraente che il soggetto ausiliario sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante per le prestazioni oggetto del contratto.
Conseguentemente, la prestazione può essere ricondotta ad entrambi i soggetti dell’avvalimento e tali soggetti possono quindi configurarsi come contraenti necessari.
I giudici, accertato il carattere strumentale del soggetto di cui si è avvalsa la partecipante alla gara, hanno stabilito che l’art.13 d.l. 223/2006, conv. in l. 248/2006 non solo non viola l’art. 41 cost., ma «ne costituisce immediata applicazione, mirando dichiaratamente a preservare il mercato da alterazioni e fenomeni distorsivi delle regole della concorrenza», ritenendo che la norma mira ad evitare che alcune imprese possano avvantaggiarsi della struttura della propria compagine societaria per la presenza di soci pubblici.
La ratio legis dell’art. 13, dunque «non solo è volta a tutelare il principio di concorrenza e trasparenza, ma anche – e soprattutto – quello di libertà di iniziativa economica che risulterebbe gravemente turbato dalla presenza (e dalla operatività sul mercato) di soggetti che proprio per la presenza (diretta o mediata) della mano pubblica finiscono in sostanza con l’eludere il rischio d’impresa.»

(a cura dell’Avv. Simone Lazzarini e del Dott. Valentin Vitkov)

TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, sentenza n.5796-2008

La depurazione è una tassa? no… e quindi?

 La depurazione è una tassa?

La risposta sembra semplice: dal 1994 esiste – o dovrebbe esistere – il servizio idrico integrato, formato dai servizi di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua (v. l. 36/1994).

Per il servizio si esige il pagamento di una tariffa che è il corrispettivo del servizio.

Fognatura e depurazione costituiscono quota di tariffa.

Nel momento in cui si parla di corrispettivo del servizio si deve dedurre che, se il servizio non è prestato, il corrispettivo non è dovuto.

In realtà così non è – o meglio non era fino a poco fa – perché la legge del 1996 a cui si faceva riferimento stabiliva anche che “la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi“.

Quindi, anche là dove non c’è il depuratore, la depurazione va pagata. O, per meglio dire, andava pagata.

Infatti, con recentissima Sentenza 335/2008, la Corte Costituzionale ha affermato che la norma sopra citata ed anche quelle successive che l’hanno riprodotta in pratica tal quale (e cioè l’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 e l’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) sono incostituzionali in quanto violano l’art. 3 della Costituzione.

Questo, in estrema sintesi e con qualche inevitabile semplificazione, il ragionamento delle Corte Costituzionale.

Il cittadino stipula con l’ente che gli fornisce l’acqua una banale contratto di somministrazione.

Si tratta di un contratto di diritto privato, né più né meno, a causa del quale se c’è una prestazione c’è un corrispettivo (determinato dall’autorità, ma questo è un altro discorso), se non c’è una prestazione no.

Ne consegue che se il cittadino non usufruisce di un depuratore, non deve pagare la depurazione.

La corte si è anche posta un altro problema: se non c’è un depuratore, questo può essere costruito coi soldi degli utenti, riscossi proprio tramite le bollette. È giusto quindi imporre agli utenti un sacrificio economico in vista di un bene pubblico da costruire?

La risposta è no.

Secondo le leggi in questione (non tanto quella del ’94, quanto quelle successive), il denaro riscosso tramite bolletta è destinato alla realizzazione di un piano d’ambito, ma tale denaro viene chiesto non in considerazione del possibile costo del depuratore da costruire, ma del costo della (inesistente) depurazione tout court. Quindi, non c’è corrispettività tra costo della depurazione e costo del depuratore da costruire. In secondo luogo, il denaro riscosso può essere destinato alla realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al pagamento. Quindi, ancora una volta, non c’è corrispettività. In terzo luogo il denaro riscosso per la depurazione va al Comune, ma non è detto che sia il Comune a gestire il servizio idrico; la decisione su come e dove costruire il depuratore spetta a terzi: Province etc. L’utente non ha alcun potere su tale scelta, che viene decisa dall’autorità d’ambito, formata da Comuni e Province. Quindi, ancora una volta, non c’è corrispettività. Infine è da escludersi che le entrate in questione siano una tassa, un tributo, posto che si tratta di corrispettivo di tariffa e la tariffa è un unicum inscindibile che comprende somministrazione vera e propria d’acqua, fognatura e depurazione.

Pertanto – queste le conseguenze pratiche della Sentenza – se non c’è un depuratore la depurazione non va pagata.

Se invece l’acqua è depurata la somma è dovuta.

Sorge spontanea una domanda: che cosa accade alle somme pagate a titolo di depurazione in assenza di depurazione? – sempre che non si tratti di fattispecie già coperte da giudicato.

L’Avv. Simone LAZZARINI intervistato da Carriere & Professioni, supplemento de “Il Giornale” in edicola dal 29.02.2008

In allegato al numero de “Il Giornale” del 29 febbraio 2008 viene distribuito – senza sovrapprezzo alcuno – il periodico Carriere & Professioni.
Alle pagg. 174 e seguenti è presente una mia intervista in materia di diritto dell’ambiente.
Cordiali saluti e buona giornata a tutti

Avv. Simone LAZZARINI

Il leading case in materia di responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione

Il giudizio di primo grado innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale
Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sez. III, Milano, sentenza n.5130/2000

L’esecuzione della sentenza di primo grado con cui fu fatta forse per la prima volta applicazione delle previsioni di cui all’art.10 della legge 205/2000, quantificando in tempi estremamente rapidi l’entità del risarcimento del danno procurato da una Pubblica Amministrazione per la rottura ingiustificata delle trattative finalizzate alla stipula di un contratto ad evidenza pubblica.

Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sez. III, Milano, sentenza n.2923/2001, interlocutoria
Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sez. III, Milano, sentenza n.451/2002

Il giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato, con cui, in integrale accoglimento delle nostre argomentazioni, fu confermata la responsabilità precontrattuale di un Comune che aveva tenuto aperte con un soggetto privato trattative che sicuramente non avrebbero potuto avere esito in quanto il contratto era già stato stipulato con altro soggetto.

Consiglio di Stato, Sez. V^, Sentenza 12 settembre 2001, n. 4776