Il balcone “aggettante” – ossia che non serve né come copertura né come sostengo dell’edificio – di chi è?

Con la recente Sentenza 5 gennaio 2011, n. 218 la Cassazione è tornata sulla titolarità del diritto di proprietà dei balconi aggettanti, cioè che non servono né come copertura né come sostengo dell’edificio.

La Suprema Corte ha affermato che essi sono di proprietà esclusiva dell’appartamento al quale ineriscono.

Ciò in quanto, come si legge dalla motivazione, “la c.d. presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 cod. civ. si basa sul carattere strumentale ed accessorio dei beni ivi indicati rispetto alle unità di proprietà esclusiva dei condomini”.

Conseguentemente – prosegue sempre la motivazione – “I balconi “aggettanti”, i quali sporgono dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio – come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio – non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani; pertanto ad essi non può applicarsi il disposto dell’art. 1125 cod. civ.: i balconi “aggettanti”, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono”.

Nello stesso senso si sono espresse Cass. 15913/2007; 14576/20046; 637/2000; 8159/1996.

 

Se invece, a contrario, il balcone serve come  sostegno o copertura dell’edificio allora è di proprietà comune e si applica il disposto dell’art. 1125 c.c. per cui “Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto”.

Transazioni: il Ministero diffidato a concludere il procedimento

Cari frequentatori del sito,
interrompo il forzato silenzio, dovuto al super-lavoro che mi ha costretto, senza soluzione di continuità, a concentrare le energie nella stesura di atti, nel ricevere e riscontrare i clienti e nel partecipare alle udienze, per informarVi che, stante il decorso di oltre un anno dal termine utile per l’inoltro delle “istanze di transazione”, senza che il Ministero della Salute abbia assunto una posizione definitiva in ordine alle condizioni ed ai tempi delle transazioni stesse, ho ieri provveduto a far notificare al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a nome e nell’interesse dell’Associazione Thalassemici e Drepanocitici lombardi, un atto di invito e diffida ad assumere, entro novanta giorni, ogni attività diretta alla conclusione dell’iter amministrativo, prodromico alla definizione delle transazioni.
La diffida, il cui testo è stato lungamente meditato e condiviso con altri due carissimi colleghi ed amici e che pertanto ha visto il coinvolgimento di altre tre associazioni di pazienti thalassemici, è stata esplicitamente notificata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009 n. 198, ed è quindi funzionale all’eventuale avvio di una class action davanti al giudice amministrativo, azione che sarebbe aperta (ferma restando l’ovvia libertà di ciascun legale nell’individuazione delle strategie ritenute più adeguate alla tutela dei propri assistiti) agli interventi delle ulteriori associazioni dei danneggiati.
Con i colleghi e con le associazioni che hanno condiviso l’iniziativa abbiamo convenuto che, nell’imminenza dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità nazionale, fosse il momento di rompere gli indugi e di mettere una volta per tutte alla prova l’effettiva volontà del Ministero di chiudere dignitosamente una triste pagina della nostra Repubblica.
Cordiali saluti

Avv. Simone LAZZARINI

Privacy e condominio. No alla “gogna” per i condomini morosi.

 In un condominio l’amministratore affigge in bacheca i nomi dei condomini morosi.

Uno di costoro cita in giudizio il condominio chiedendo i danni e lamentando la violazione della privacy (Dlt. 196/2003).

Il Tribunale respinge la domanda del condomino e questi ricorre in Cassazione.

La Suprema Corte cassa la Sentenza dando ragione al condomino ed afferma che i dati dei condomini sono dati personali che possono essere trattati anche senza il consenso dell’interessato, ma il loro trattamento deve avvenire rispettando i principi di “proporzionalità pertinenza e non eccedenza rispetto ai fini per i quali sono raccolti“.

Insomma: non devono essere usati a sproposito.

Affiggerli in bacheca consente anche a soggetti estranei al condominio di sapere che uno dei condomini non paga le spese condominiali e i terzi non hanno questo diritto. Inoltre, rendere edotti gli estranei di tale morosità non giova in alcun modo né alla vita né al bilancio condominiale, finendo invece per ledere la riservatezza del moroso.

Esporre in bacheca i dati dei morosi, insomma, costituisce un’indebita diffusione, come tale illecita e fonte di responsabilità civile.

In questo senso si esprime l’ordinanza 186 della Cassazione depositata il 4/1/2011.

Va peraltro ricordato che secondo una risoluzione del garante della privacy l’amministratore può segnalare i nominativi dei condomini morosi ai fornitori non pagati onde evitare che costoro aggrediscano esecutivamente i condomini che hanno già pagato la loro quota.

Coordinare i due principi in realtà appare semplice. Se diffondere i dati dei morosi è utile alla vita del condominio e la diffusione è fatta con criterio allora è lecita, diversamente no.

Una pronuncia di cui probabilmente si sentiva il bisogno onde evitare abusi.