Pausa di riflessione

Cari Amici,
dopo l’uscita del decreto-moduli per la definizione transattiva delle cause risarcitorie promosse contro il Ministero della Salute si è scatenata, come prevedibile, una ridda di voci e possibili interpretazioni che ci ha impegnato anche in un serrato confronto tra colleghi, un confronto sui cui contenuti e sui cui risultati mi sembra opportuno mantenere la massima riservatezza.
Ora è il momento di una pausa di riflessione, per ricaricarsi e per mettere bene a fuoco le strategie da adottare nei prossimi mesi, anche alla luce di un’analitica disamina di ogni singola posizione sia dal punto di vista processuale sia sostanziale.
Nei prossimi giorni, come preannunciato, i clienti dello studio riceveranno un’informativa di aggiornamento in vista delle eventuali nuove azioni da intraprendere.
Lo studio, salvo le comprovate urgenze, anche non inerenti alla problematica del sangue infetto (urgenze per le quali sarò comunque rintracciabile) e gli appuntamenti già fissati in precedenza, rimarrà chiuso sino al 2 settembre compreso.
La segreteria tornerà comunque operativa indicativamente dal 27 agosto p.v.
Buone ferie e soprattutto buon meritato riposo a tutti

Avv. Simone LAZZARINI

Danno biologico. I criteri ambrosiani sono – quasi – legge.

 Nei casi in cui non è la legge a stabilire quanto liquidare ad un soggetto che ha subito un danno alla persona ci si deve affidare, si sa, al prudente apprezzamento del Giudice.

Tuttavia, onde evitare eccessive disparità tra Giudice e Giudice, con questa Sentenza, in un’ottica di certezza del diritto, la Cassazione ha affermato che lo stesso Giudice deve fare ricorso ai criteri elaborati dal Tribunale di Milano, che sono i più diffusi.

Ne consegue che se in giudizio in corso una parte ha chiesto di applicare tali criteri, esposti in tabelle, e il Giudice ne ha adottato degli altri, allora la Sentenza che così decide la causa è impugnabile per violazione di legge.

Questo l’estratto della Sentenza.

Sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011

La Corte di cassazione ha stabilito che nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c. deve garantire non solo l’adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. E’ intollerabile ed iniquo, secondo il giudice di legittimità, che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari. “Equità”, ha affermato al riguardo la Corte, vuol dire non solo proporzione, ma anche uguaglianza. Dall’affermazione di questo generale principio la Corte ha tratto la conclusione che, nei suoi compiti di giudice della nomofilachia, deve rientrare anche quello di indicare ai giudici di merito criteri uniformi per la liquidazione del danno alla persona, e tali criteri sono stati individuati nelle “Tabelle” di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale. Da ciò consegue che, d’ora innanzi, sarà censurabile per violazione di legge la sentenza di merito che non dovesse applicare il suddetto criterio, ovviamente senza adeguatamente motivare lo scostamento da esso. La sentenza si segnala altresì per essersi la Corte preoccupata di indicare alcune direttive – per così dire – di “diritto intertemporale”, precisando che le decisioni di merito già depositate, e non passate in giudicato, le quali non abbiano liquidato il danno biologico in base alle tabelle del Tribunale di Milano, non saranno per ciò solo ricorribili per cassazione (per violazione di legge), se sia mancata in appello una specifica censura in tal senso, e se la parte interessata non abbia prodotto agli atti nel giudizio di appello copia delle suddette tabelle.

Multa annullata, spese compensate: è giusto?

Può capitare che una sanzione amministrativa venga annullata per vizi formali – l’esperienza insegna che ciò accade soprattutto quando il ricorso è proposto da un tecnico.

La prassi – mai abbastanza censurata – ci insegna anche, però, che il Giudice compensa le spese. Questo vuol dire che il Giudice stabilisce che ciascuno si paga la propria attività e, se il privato si è fatto assistere da un avvocato, che le spese di assistenza legale rimangono a carico di chi si è affidato al professionista.

Capita spesso, altresì, che il Giudice motivi la decisione di compensare le spese sostenendo che ciò è “equo” o “giusto” perché la sanzione è stata annullata per vizi formali e non sostanziali.

Con la Sentenza 8144/011 la Cassazione ha – non è la prima volta – censurato questa prassi.

Scendendo nel particolare ha affermato che “Il verbale di contestazione per violazione del codice della strada, infatti, può essere illegittimo tanto per vizi formali quanto per vizi sostanziali, e la prima categoria non è più lieve della seconda, non potendosi sostenere che nell’ordinamento vi sia un favor per gli errori meramente procedurali della pubblica amministrazione”.   

Può anche capitare che il Giudice compensi le spese perché la somma irrogata a seguito di sanzione poi annullata era modesta.

La Cassazione si pronuncia anche su questo punto ed afferma: “Il modesto valore della controversia non è di per sé giustificativo della compensazione, determinando questo la scelta dello scaglione di valore della controversia su cui parametrare la condanna alle spese”.

Infine la Cassazione impone che in caso di annullamento della sanzione vi deve essere condanna alle spese sia quando il cittadino si difende da solo sia quando il cittadino si avvale di un legale. Ciò perché “Non può essere imputato a colpa della parte che ha adito il giudice proponendo l’opposizione a verbale il mancato esercizio della facoltà di difendersi personalmente, giacché il cittadino, con l’adire il giudice e con il farsi assistere innanzi ad esso da un professionista, esercita dei diritti espressamente attribuitigli dall’ordinamento e garantiti dalla Carta costituzionale (Cass., Sez. 2^, 19 novembre 2007, n. 23993)”.

 

Tre riflessioni:

a)      Il principio affermato dalla Cassazione, oltre che equo, appare conforme al dettato legislativo in tema di soccombenza e difficilmente contestabile.

b)      L’obbligo di condanna alle spese dovrebbe valere nei due sensi: chi perde dovrebbe pagare sempre le spese – sia che a perdere sia il cittadino, sia che a perdere sia l’ente che ha emesso la sanzione. In un’ottica di correttezza dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione dovrebbe essere perfettamente normale, anzi, una più estesa applicazione di questo principio porterebbe senz’altro ad una deflazione del contenzioso, evitando ricorsi francamente fantasiosi, diminuendo il numero di cause davanti al Giudice di Pace e velocizzando la durata di quelle rimanenti.

c)      Spesso il costo dell’opposizione – vinta – che rimane a carico del cittadino vittorioso è obbiettivamente esiguo, quindi, prima di impugnare la Sentenza che ha ingiustamente compensato le spese, bisogna anche tenere conto delle spese del giudizio di appello (che andrebbero comunque anticipate). Insomma: fra pratica e grammatica rimane ancora una certa differenza.  

 

Uno spunto: sarebbe interessante valutare se e come questo principio possa essere applicato – e, in verità, non si vede perché no – ad altri atti amministrativi annullati per vizi formali oppure (ancora una volta, perché no?) alle cartelle esattoriali.

 

 

Se il giudice di pace conferma la multa.


I giudici di pace possono sbagliare: non è una novità e neppure una grande scoperta.

A prescindere dalla correttezza della decisione, chi si è visto confermare una multa dal Giudice di Pace ha tutto il diritto di impugnare la Sentenza ed andare in Tribunale – magari per sentirsi dare torto un’altra volta… ma tant’è.

Ci si chiedeva però quale tipo di atto e quale tipo di procedura fosse soggetto il giudizio di impugnazione, cioè il Giudizio di secondo grado innanzi al Tribunale.

Più specificamente: si doveva ancora seguire il rito speciale di cui alla l. 689/1981 – cioè quella che prevede la compilazione di più copie, il deposito del ricorso e la fissazione dell’udienza secondo la procedura a tutti ben nota – oppure il rito ordinario? Citazione a comparire ad udienza fissa?.

Sul punto, seguendo l’orientamento del Tribunale di Roma, è intervenuta la Cassazione che, con Sentenza del 10 marzo 2011 n°5826 ha affermato che si deve seguire il rito ordinario.

Ciò perché il rito ordinario si applica anche ai giudizi svoltisi secondo la procedura della l. 689/81 là dove la stessa l. 689/81 nulla dispone e perché, in ogni caso, “Le regole speciali dettate per il giudizio di primo grado non possono ritenersi automaticamente estensibili a quello di appello in assenza di specifica disposizione in tal senso (SSUU 14520/09; 23285/10; 23594/10)”.

Ovviamente la proposizione del giudizio di impugnazione in appello, davanti al Tribunale, non sospende automaticamente l’esecuzione della Sentenza di primo grado.

 

Transazioni: il Ministero diffidato a concludere il procedimento

Cari frequentatori del sito,
interrompo il forzato silenzio, dovuto al super-lavoro che mi ha costretto, senza soluzione di continuità, a concentrare le energie nella stesura di atti, nel ricevere e riscontrare i clienti e nel partecipare alle udienze, per informarVi che, stante il decorso di oltre un anno dal termine utile per l’inoltro delle “istanze di transazione”, senza che il Ministero della Salute abbia assunto una posizione definitiva in ordine alle condizioni ed ai tempi delle transazioni stesse, ho ieri provveduto a far notificare al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a nome e nell’interesse dell’Associazione Thalassemici e Drepanocitici lombardi, un atto di invito e diffida ad assumere, entro novanta giorni, ogni attività diretta alla conclusione dell’iter amministrativo, prodromico alla definizione delle transazioni.
La diffida, il cui testo è stato lungamente meditato e condiviso con altri due carissimi colleghi ed amici e che pertanto ha visto il coinvolgimento di altre tre associazioni di pazienti thalassemici, è stata esplicitamente notificata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009 n. 198, ed è quindi funzionale all’eventuale avvio di una class action davanti al giudice amministrativo, azione che sarebbe aperta (ferma restando l’ovvia libertà di ciascun legale nell’individuazione delle strategie ritenute più adeguate alla tutela dei propri assistiti) agli interventi delle ulteriori associazioni dei danneggiati.
Con i colleghi e con le associazioni che hanno condiviso l’iniziativa abbiamo convenuto che, nell’imminenza dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità nazionale, fosse il momento di rompere gli indugi e di mettere una volta per tutte alla prova l’effettiva volontà del Ministero di chiudere dignitosamente una triste pagina della nostra Repubblica.
Cordiali saluti

Avv. Simone LAZZARINI

Buone vacanze!

Cari amici,
da domani e sino alla fine di agosto mi assento per un periodo di riposo, quanto mai necessario visto quanto accaduto negli ultimi mesi e, soprattutto, alla luce dei prossimi mesi autunnali, che si profilano davvero impegnativi.
Per eventuali improrogabili urgenze potrete comunque contattarmi al 347.5454518.
Anche a tutti Voi i miei migliori auguri di tanto riposo e serenità.

Avv. Simone LAZZARINI

Posta elettronica (e posta elettronica certificata): qual è il valore legale?

Tutti ormai scriviamo tramite mail. Tutti, anzi, ci scambiamo corrispondenza tramite posta elettronica… ma qual è il valore legale della posta elettronica?

La questione non è nuovissima, ma recenti sono gl’inviti, da parte del Governo, di dotarsi di una casella di posta elettronica certificata o PEC.

Allora, e senza pretesa di essere troppo approfonditi, è magari opportuno fare un breve “ripassino” della questione.

La posta elettronica semplice è quella che tutti conosciamo: Tizio invia a Caio una mail senza ulteriori specificazioni.

Qual è il valore legale di quella mail, cioè (in altre parole) una volta che si dovesse andare in Tribunale (o dal Giudice di Pace) che valore ha quella mail?

Prima di rispondere è bene precisare che l’intera materia si evolve con grande velocità.

Anzi, verrebbe da dire che si evolve alla velocità della luce.

Ne consegue che quanto si scrive oggi domani non potrebbe valere più.

Detto questo, vediamo di rispondere.

La posta elettronica ordinaria ha lo stesso valore della posta tradizionale ordinaria, ma attenzione: questo non significa che non valga niente.

In materia contrattuale, per esempio,  le mail fanno piena prova se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose riportate (Tribunale di Roma 11/1/10, Tribunale di Cassino 24/2/09, Tribunale di Verona 26/11/2005, Tribunale di Ancona 9/4/2005).

La posta elettronica certificata, o PEC, invece, equivale ad una raccomandata “tradizionale”, cartacea. Si ha la certezza che sia spedita dal mittente e che sia ricevuta dal destinatario ma (attenzione al ”ma”!) purché sia il mittente sia il destinatario siano dotati di PEC.

Detto in altre parole: una mail spedita tramite PEC ad un indirizzo di posta elettronica PEC equivale ad una raccomandata. Invece, una mail spedita tramite PEC ad un indirizzo di posta elettronica ordinario equivale ad una lettera ordinaria. Per fare un esempio è come se si spedisse una raccomandata ma, anziché farla firmare per ricevuta, la si infilasse, così com’è, nella casella della posta.

Forse ricorderete che, un po’ di tempo fa, il Governo regalò una PEC – cioè una casella di posta elettronica certificata – a tutti. Bastava andare in posta e compilare il modulo.

In realtà la PEC offerta dal Governo non serve a corrispondere con chiunque, ma solo con la pubblica amministrazione. Tecnicamente, non è proprio una PEC, ma una CEC PAC.

Verrebbe da dire: a caval donato…Forse però il proverbio giusto è un altro. Come disse Lacoonte quando vide il cavallo sulla spiaggia di Troia e seppe che i Troiani, considerandolo un regalo, lo volevano portare in città “Timeo Danaos et dona ferentes” [temo i Greci anche quando portano doni]. Sappiamo tutti che fine ha fatto la città di Troia…

Perché tanta diffidenza?

Perché nella finanziaria in discussione c’è questa norma: La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Una delle prime mail certificate che il cittadino si potrebbe veder recapitare potrebbe quindi essere una cartella esattoriale. Ad Equitalia basta andare a vedere gli elenchi di PEC presso le poste.

Alcuni commentatori hanno visto una limitazione della capacità di concorrenza perché uno, per avere una PEC, si dovrebbe affidare solo alle poste e non si potrebbe affidare ad altri.

Io ci vedo un altro rischio.

Pensiamo alla raccomandata tradizionale. Uno riceve una raccomandata, non c’è, vede nella casella della posta l’avviso di deposito e, se è diligente, la va a ritirare (se non lo è, peggio per lui).

Con la posta elettronica certificata, se il computer non funziona, se non si può aprire la posta ecc., questa possibilità non c’è. Il computer del destinatario ha ricevuto la mail? La mail è recapitata. Punto e basta. Non è prevista una seconda chanche.

Più tecnicamente, mi permetto di dubitare della legittimità costituzionale di una norma che non prevede, per il destinatario, lo stesso sistema di garanzie previste dall’art. 140 c.p.c. o dalla legge sulle notifiche a mezzo posta.  

Preavviso di fermo: nuovi profili di tutela in una recente pronuncia delle SSUU

 La Cassazione, a sezioni unite, si pronuncia ancora una volta sul controverso istituto del preavviso di fermo, modificando, in parte, l’orientamento delle sezioni semplici.

Con la recente Sentenza n° 11087/2010 depositata il 7/5/2010 affronta due questioni: la giurisdizione e la impugnabilità del preavviso.

Quanto alla giurisdizione, la risposta è solo parziale.

Il quesito riguarda chi debba decidere in ordine alle questioni attinenti a preavvisi di fermo per debiti tributari e chi debba decidere, invece, a preavvisi di fermo per debiti non tributari.

La Cassazione, trincerandosi dietro la inammissibilità del quesito si limita ad osservare che “al giudice tributario appartiene la cognizione delle obbligazioni di natura fiscale, mentre il giudice ordinario giudica delle altre materie” e dunque, a suo tempo, bene fece il Giudice a quo a tenere distinte le due specie di obbligazioni.

Quanto alla impugnabilità del preavviso, invece, la Cassazione dice di più e, soprattutto, dice cose più interessanti.

La domanda è se il preavviso di fermo – che è atto diverso dal fermo vero e proprio in quanto si limita a preannunciarlo – sia impugnabile o no (ovviamente Equitalia, ricorrendo in Cassazione, sosteneva di no, peraltro sulla scorte di altri precedenti di legittimità e di merito).

La Cassazione ha innanzi tutto osservato che sul preavviso di fermo sottoposto alla sua attenzione (ma, per quanto è dato sapere, quasi tutti i preavvisi sono così) è scritto che, decorsi venti giorni dalla notifica senza che sia stato eseguito il pagamento “senza ulteriore preavviso” si provvederà al fermo.

Partendo da questo dato testuale la Cassazione letteralmente afferma che “l’atto impugnato vale come comunicazione ultima della iscrizione del fermo entro i successivi venti giorni. Di qui l’interesse ad impugnare“.

Con ciò il Collegio ha respinto la tesi di Equitalia secondo la quale il preavviso equivale, in pratica, ad una semplice raccomandata di messa in mora e, dunque, non c’è un interesse giuridicamente tutelabile.

Da apprezzare anche il fatto che le SSUU si dilunghino anche nel ragionamento a contrario osservando che a seguire la tesi opposta il contribuente dovrebbe attendere il decorso dei venti giorni per impugnare direttamente l’iscrizione del fermo, direttamente in sede di esecuzione. Ciò, osservano le SSUU è un aggravio di spese e perdita di tempo assolutamente priva di senso.

Polemicamente, ci si potrebbe domandare che senso avevano, allora, le Sentenze delle Commissioni Tributarie e dei Giudici ordinari che negavano che si potesse impugnare il semplice preavviso…

Con onestà intellettuale e precisione di giudizio le SSU danno atto che non ignora il collegio che taluni arresti, anche recenti (Cass. 20301/08 Cass 8890/09 – di cui peraltro si trova menzione anche su questo sito) hanno escluso la impugnabilità del provvedimento per carenza di interesse ma tale indirizzo deve ritenersi superato… a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 Dlt. 549/62 in quanto tale elencazione va interpretata in senso estensivo .. per ragioni di tutela del contribuente.

Le SSUU precisano altresì che “analoghe considerazioni valgono allorquando il preavviso di fermo riguardi obbligazioni extratributarie.

Ricapitolando, le SSUU, cambiando orientamento rispetto al passato, affermano che il preavviso di fermo è impugnabile.

Davanti a chi rimane ancora questione aperta e di cui, verosimilmente, si sentirà ancora parlare.  

Transazioni: seppur con molta lentezza la procedura prosegue

Pubblichiamo il comunicato apparso sul sito del Ministero e, con l’occasione, formuliamo i nostri migliori auguri per le imminenti festività pasquali.
Conclusa l’acquisizione delle oltre 7.000 domande di partecipazione all’operazione transattiva prevista dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, il Ministero della Salute sta provvedendo alla loro istruttoria.
Di ogni pratica si sta verificando la correttezza delle informazioni fornite dai legali nonché la completezza della documentazione allegata.
Non sono da ritenersi ammissibili le domande presentate dopo il 19 gennaio 2010, termine previsto dalla circolare 20 ottobre 2009, n. 28; le domande che si riferiscono ad un giudizio che non risulti pendente alla data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244, 1° gennaio 2008, e alla data della presentazione della domanda; le domande che si riferiscono ad un giudizio diverso da quello per il risarcimento danni instaurato da soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie; le domande presentate dagli operatori sanitari che per servizio abbiano riportato danni da contatto con sangue e derivati.
In tali casi verrà data comunicazione al legale del respingimento della domanda.
Nel frattempo proseguono i lavori della Commissione interministeriale che dovrà decidere circa i contenuti del decreto ministeriale che conterrà i “moduli”, ovvero le proposte economiche che l’Amministrazione intende avanzare per concludere gli accordi.
Sulla bozza di tale decreto è prevista una consultazione con i rappresentanti degli interessati.
Il decreto sarà approvato dopo l’espressione del parere dell’Avvocatura dello Stato, sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e reso disponibile anche tramite il sito internet www.salute.gov.it
In base a tale D.M. , saranno predisposti i singoli atti transattivi per la loro sottoscrizione.
Le pratiche relative ai singoli atti transattivi verranno quindi inviate all’Avvocatura dello Stato che dovrà esprimere un parere sulla conclusione della singola transazione.
Vista l’estrema complessità di tutta l’operazione, si prevede che la stipula dei primi atti transattivi si potrà avere a partire dal mese di dicembre 2010

Dopo la pausa pasquale proveremo a fare il punto della situazione.
A presto

Avv. Simone LAZZARINI