A tutti i clienti dello studio interessati alle transazioni per il risarcimento del danno biologico da trasfusioni di sangue e/o somministrazione di emoderivati infetti

Ho il piacere di comunicare a tutti i clienti dello studio che hanno proposto a mezzo dello scrivente legale azioni per il risarcimento del danno biologico da trasfusioni di sangue e/o somministrazione di emoderivati infetti che, non appena verrà pubblicata – si pensa e spera entro la fine del mese di ottobre – la circolare che specificherà tempi e modalità per l’invio della documentazione al Ministero, saranno contattati per la tempestiva predisposizione di quanto necessario nonchè per fornire – con incontri individuali e/o collettivi – tutti i chiarimenti in ordine alla propria specifica situazione e, caso per caso, alle prospettive di effettivo e positivo accesso alle transazioni.
Appena mi sarà possibile, compatibilmente con il lavoro frenetico di questi giorni, pubblicherò sul sito alcune mie personali riflessioni.
Grazie

Avv. Simone LAZZARINI

Il Tribunale di Roma insiste: ai fini della corretta individuazione del dies a quo della prescrizione spetta al Ministero eccipiente fornire la prova che il danneggiato ha percepito la malattia come un danno ingiusto prima della notifica del giudizio della CMO

In attesa di esprimermi in modo costruttivo sul decreto appena pubblicato – ed a riprova del fatto che non bisogna “fasciarsi la testa prima di averla rotta” desidero segnalarvi che, con la sentenza n. 45821, depositata in cancelleria lo scorso 2 luglio 2009, il Tribunale di Roma, Sezione II^, ancora nella persona del Dott. Cricenti ha riaffermato il principio per il quale che il danneggiato abbia avuto contezza del danno prima che la CMO abbia ipotizzato un nesso tra la malattia e la trasfusione “è un dato la cui prova compete a chi eccepisce la prescrizione, piuttosto che a chi agisce in giudizio. Il Ministero, in pratica, sdovrebbe provare che l’attore ha percepito la malattia come danno ingiusto in un momento anteriore al responso della Commissione“.
Mi sembra comunque un buon segnale.
Poichè il sito è frequentato quotidianamente anche da molti Colleghi od operatori del diritto sarebbe estremamente utile alla causa comune che coloro i quali avessero altri precedenti favorevoli (soprattutto in tema di exordium praescriptionis) li conividessero con gli altri nell’interesse generale.
Buona serata

Avv. Simone LAZZARINI

Tribunale Roma, Sezione II^, sentenza n.45821 del 2 luglio 2009

A tutti i frequentatori del sito

Nei prossimi giorni, compatibilmente con lo svolgimento delle altre attività di studio, pubblicherò alcune mie personali riflessioni sul decreto relativi alle transazioni appena emanato, in attesa che – a breve – esca la tanto famigerata circolare relativa alle modalità di trasmissione dei documenti al Ministero.
Comprendo l’apprensione di tutti e lo sconforto di alcuni.
Invito però a non fasciarsi la testa prima di averla rotta.
Il blog di commento ai vari articoli rimangono liberamente accessibili ed a disposizione di tutti.
Poichè tuttavia il presente è un sito di uno studio legale mi sarei aspettato contributi un poco più educati, rispettosi e costruttivi, che vadano al di là degli insulti gratuiti, degli improperi e delle accuse, talora provenienti addirittura da colleghi che, con uno o più preudonimi, si mascherano da privati cittadini, non avendo evidentemente il coraggio di esporsi in prima persona (come accaduto nei giorni scorsi).
Per chi vuole sfogarsi in questo modo, sulla rete, ci sono spazi in abbondanza.
Detto in parole più semplici.
I commenti costruttivi – o comunque espressi in modo educato – sono assai graditi, così come le richieste di pareri, alle quali si cerca di rispondere nel più breve tempo possibile, compatibilmente con le altre attività, lavorative e non.
Gli altri commenti, contenenti insinuazioni, insulti e parolacce, verranno d’ora in poi immediatamente cestinati con espressa riserva – in caso di offensività degli scritti – delle azioni più opportune, considerato anche che, chi gestisce il sito, rischia di essere corresponsabile dei contenuti che, sullo stesso, vengono pubblicati da terzi.
Grazie e scusate la franchezza

Avv. Simone LAZZARINI

Il decreto sulle transazioni è stato (finalmente) pubblicato

Sulla Gazzetta Ufficiale n.221 di oggi 23 settembre 2009 è stato pubblicato il DECRETO 28 aprile 2009, n. 132, recante “Regolamento di esecuzione dell’articolo 33, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222 e dell’articolo 2, comma 362, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per la fissazione dei criteri in base ai quali definire le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti”
Pubblichiamo in allegato il testo ufficiale, estrapolato dal sito della Gazzetta Ufficiale.
A presto per i commenti

DECRETO 28 aprile 2009 , n. 132

Fermo e preavviso di fermo, un pericoloso distinguo della Cassazione.

 Sappiamo che cos’è il fermo amministrativo e sappiamo anche che è un atto impugnabile, sia pure con le note difficoltà che sono state da più parti illustrate.

Bisogna però distinguere il fermo dal preavviso di fermo.

Il preavviso di fermo è una comunicazione con la quale si avverte il contribuente (in senso lato) che, se non paga entro X giorni l’importo richiesto, l’ente riscossore eseguirà il fermo.

Insomma il preavviso (appunto) avvisa, il fermo blocca.

In concreto, tale distinzione non è sempre agevole e non è mai possibile dire se si tratti di preavviso di fermo – o di fermo – senza leggere la comunicazione.

Si diceva che il fermo è impugnabile, ma il preavviso? Lo è?

Con la Sentenza 8890/2009 la Cassazione, seconda sezione, ha aderito alla tesi negativa.

Essa afferma: la comunicazione preventiva di fermo amministrativo (c.d. preavviso) di un veicolo, notificata a cura del concessionario esattore, non arrecando alcuna menomazione al patrimonio – poiché il presunto debitore, fino a quando il fermo non sia stato iscritto nei pubblici registri, può pienamente utilizzare il bene e disporne (dunque venderlo, guidare etc.) è atto non previsto dalla sequenza procedimentale dell’esecuzione esattoriale e, pertanto, non può essere autonomamente  impugnabile ex art. 23 l. 689/81 (la legge che disciplina l’impugnazione delle sanzioni amministrative) non essendo il destinatario titolare di alcun interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c. (Cass. 20301/2008). L’azione di accertamento negativo del credito dell’amministrazione, da parte sua, non può essere astrattamente proposta in ogni tempo per sottrarsi alla preannunciata esecuzione della cartella esattoriale, impugnabile, eventualmente in via recuperatoria con le forme i tempi ed il rito specificamente dipendenti dalla sua origine e dal tipo di vizi fatti valere (la Cassazione sta dicendo che si deve impugnare la cartella , la quale arriva – o dovrebbe arrivare sempre – prima del fermo).

Quindi, non solo non si può impugnare il preavviso di fermo come se fosse una multa (es. ricorso al Giudice di Pace) … e fin qui, niente di strano, ma, addirittura, secondo la cassazione non esiste neanche un interesse processualmente tutelabile ad impugnarlo.

Da questa tesi si potrebbe dedurre, addirittura, che il preavviso di fermo non è impugnabile mai, neppure utilizzando il ricorso ex art. 700 c.p.c. , tesi già sostenuta per es. da Trib. (Ord.) Bologna, 27/06/2007 e respinta, invece, da T Roma Ord. 8/8/06.

Tuttavia tale tesi potrebbe creare un vuoto di tutela.

Infatti spesso il contribuente viene preavvisato che si eseguirà il fermo se non si paga, ma non viene avvisato quando il fermo viene effettivamente eseguito.

L’obbligo di avvisare – ed è curioso per un atto impugnabile – non è infatti imposto da una legge, ma solo da una circolare.

Prima dell’intervento della Cassazione con la Sentenza in commento si ovviava, a volte, nella prassi impugnando il preavviso “come se” fosse non semplice preavviso, ma una vera e propria comunicazione di fermo.

Ora non sarà più possibile o, quantomeno, sarà rischioso.

Bisognerà attendere il fermo vero e proprio, con inevitabili problemi applicativi, difficoltà di individuare il momento a partire dal quale decorre il termine per impugnare etc. etc.

          

L’Iva, la TARSU, la TIA e la richiesta di rimborso

 Ciclicamente dal 2007 appaiono su internet ed anche altrove articoli del seguente tenore: con una recente Sentenza la Cassazione ha dichiarato illegittima l’applicazione dell’Iva sulla Tarsu; potete chiedere quindi indietro dieci anni di Tarsu se fate così e cosà. Il “così e cosà” comporta di solito l’iscrizione a qualche associazione – onlus – patronato e, inevitabilmente, il pagamento di una quota associativa.

Anche se ridere fa buon sangue, però, sulle tasse è difficile scherzare. Soprattutto è pericoloso fidarsi del passaparola e del “si dice”.

Il consiglio è risalire alla fonte. Si cita una “recente sentenza della cassazione”; quale? Si fa cenno a “migliaia di ricorsi” pendenti. Con quale esito?

Il fatto è che la questione è purtroppo più complicata di quanto possa apparire da certe trionfalistiche (e, a volte, imprecise quando non approssimativamente scopiazzate)  affermazioni.

Andiamo con ordine. Avverto subito che questa è una semplificazione, dato che ci sono stati numerosi interventi legislativi in materia, ma, ai fini illustrativi del presente articolo, reputo sia una semplificazione accettabile.

Bisogna innanzi tutto distinguere “tassa” e “tariffa” .

La tassa, sappiamo più o meno tutti cos’è: un tributo, una prestazione patrimoniale imposta a prescindere da altri fattori, che trova la sua fonte nella legge e legata alla capacità contributiva.

La tariffa può essere definita come un prezzo, determinato da qualche autorità pubblica (es: comune CIPE), di servizio reso. Un corrispettivo, insomma. È tariffa, per esempio, la tariffa del servizio idrico integrato. È tariffa la TOSAP (a differenza della COSAP)

La TARSU è nata, almeno come concetto, nel 1941 – legge 366 ed è stata modificata e resa obbligatoria dal Dlgs 786/1981.

Il decreto legislativo 507/93 ha imposto ai comuni di adottare una tassa annuale, usualmente denominata Tarsu, da applicarsi su base tariffaria, cioè secondo regolamenti comunali.

Il Decreto Ronchi -decreto legislativo n ° 22/1997 – ha previsto che i comuni istituissero una tariffa per la copertura integrale dei costi per lo smaltimento dei rifiuti, sicchè può dirsi che dal 1997 la Tarsu è (o avrebbe dovuto essere) sostituita dalla TIA (Tariffa Integrata Ambientale). Lo stesso decreto, con complesso regime transitorio, prevede l’abolizione della TARSU. Di rinvio in rinvio il legislatore ha concesso termine ai comuni fino al 2008 per sostituire gradualmente la Tarsu con la Tia.

Nel 2006, tuttavia, il legislatore, con il Decreto 152/2006 ha introdotto la Tariffa per la Gestione dei Rifiuti Urbani che costituisce un corrispettivo che ha soppresso la TIA.

Da tutta questa complessa successione di norme deriva che ci sono comuni in cui esiste la TARSU, altri in cui esiste la TIA e che, secondo tempi di attuazione non prevedibili, tutt’e due le entrate verranno sostituite dalla Tariffa per la Gestione dei Rifiuti Urbani.

Ma torniamo alla Tarsu /TIA e sveliamo l’assassino: l’assoggettamento di TIA e TARSU ad IVA è legittimo od illegittimo?.

La “Sentenza recente” della Cassazione cui accennavo all’inizio, di solito, non viene citata. Peraltro una puntigliosa ricerca e dei siti istituzionali e dei siti non istituzionali induce ad affermare che la Sentenza in questione è la 17526/2007.

In tale pronuncia la parola IVA non compare nemmeno una volta in tutto il testo. Non compare neppure il DPR 633/1972 – cioè la legge sull’Iva.

La Sentenza però dice un’altra cosa: interessante, utile, positiva, ma un’altra cosa: anche se la TIA è una tariffa, continua ad essere, in pratica, un tributo.

Va precisato che la Cassazione è intervenuta sul tema, magari incidentalmente, con le pronunce 13902/1997,  4895/2006, 5298 e 5297/2009, sostanzialmente confermando sempre, sia pure con diverse sfumature, la natura tributaria della prestazione.

Da questa tesi, qualche interprete (la genericità è d’obbligo perché di solito gli articoli non sono firmati) deduce che l’Iva – in quanto “tassa su tassa” – è illegittima.

Sul punto è intervenuta, or ora – e cioè con la Sentenza 238/2009 del 24/7/2009 – la Corte Costituzionale in persona. Il testo della Sentenza è disponibile gratuitamente sul sito della Corte stessa.

Sono dieci pagine di Sentenza – scritte in piccolo – ma quel che conta ai fini che interessano è riportato al punto 7.2.3.6.

Continua a leggere

I termini per impugnare le delibere condominali (I)

 Per una corretta impostazione del rapporto tra condomini e condominio è necessario ricordare che, come principio generale, le delibere sono obbligatorie per i condomini che le hanno approvate.

È ovvio che un condomino assente o dissenziente ha diritto di impugnare una delibera alla quale è contrario, mentre se un condomino è favorevole a quanto deliberato – ed esprime il proprio favore in assemblea – non la può impugnare.

Pertanto (per esempio) un condomino che “cambi idea” e decida di non approvare più una delibera che prima aveva approvato si vedrà respinta l’impugnazione, salvo casi specialissimi di cui si dirà più oltre.

E il condomino astenuto?

In linea generale In tema di impugnazione di delibere di assemblea di condominio annullabili, la legittimazione ad impugnare va riconosciuta anche al condomino presente che si sia astenuto dal voto. (Cass. civ., Sez. II, 10/10/2007, n. 21298) in quanto il condomino che si astiene è equiparato al condomino dissenziente (Cass. 129/1999).

È anche ovvio, però, che una delibera condominiale, anche se immediatamente esecutiva, non può rimanere “sospesa” all’infinito perché un domani qualcuno la potrebbe impugnare.

Per questa ragione la legge – art. 1137 c.c. – stabilisce un termine breve per le impugnazioni ed impone “a pena di decadenza” che chi intende impugnare una delibera debba farlo entro trenta giorni.  “A pena di decadenza” vuol dire che se il termine scade inutilmente la delibera è intangibile e quanto da essa stabilito non può più essere messo in discussione.

Questo termine rigoroso può essere aggirato solo nel caso di delibere c.d. “nulle”.

La giurisprudenza, da molti anni, ha infatti introdotto una distinzione (ignota alla legge) tra delibere “nulle” e delibere “annullabili”.

Le delibere annullabili sono quelle delibere viziate che devono essere impugnate a pena di decadenza, come si diceva sopra, entro trenta giorni dal momento in cui il condomino assente, dissenziente od astenuto ne ha avuto conoscenza.

Le delibere nulle sono delibere affette da un vizio così grave che possono essere impugnate e rese invalide in qualsiasi momento, anche dopo la scadenza del predetto termine di trenta giorni.

Anche per evitare un proliferare di ricorsi tardivi la giurisprudenza interpreta in modo restrittivo (e, col passare del tempo, sempre più restrittivo) il concetto di nullità di delibera assembleare.

La più importante delle pronunce più recenti della Cassazione in materia di nullità di delibera assembleare condominiale ha affermato (tra l’altro) che “Devono qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all’oggetto, devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto. ” (Cass. SSUU 4806/2005)

Un criterio che i Tribunali interpretano in modo rigoroso, sicché si può dire che la maggior parte delle delibere condominiali viziate sono affette da semplice nullità (il concetto di più difficile individuazione di solito è quello della compressione dei diritti individuali) e devono quindi essere impugnate entro tenta giorni.

Un ultimo chiarimento pare necessario – ovviamente, per i “non addetti ai lavori”. La impugnazione di una delibera assembleare non è una contestazione inviata per raccomandata o in altra forma. È una causa. E, trattandosi di una decadenza, o si fa causa nei termini innanzi al Tribunale, oppure si subisce il deliberato dell’assemblea, né l’invio di lettere, fax, messaggi di qualunque genere e natura può supplire al mancato deposito del ricorso.

Quindi, se si intende contestare una delibera condominiale, è bene muoversi per tempo allo scopo di valutare con la dovuta ponderatezza se intraprende o no un giudizio che avrà, inevitabilmente, i suoi tempi e i suoi costi.