Procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento di lavori, servizi e forniture: società strumentali, principio di avvalimento e norme a tutela della concorrenza (TAR Lombardia, Sez. I, Rel. Elena Quadri, sent. 5796/2008)

Con una interessante pronuncia, per la quale non constano ad oggi precedenti, il TAR Lombardia ha per la prima volta affrontato il tema dei rapporti intercorrenti tra l’art. 13 d.l. 223/2006, conv. in l. 248/2006, il principio di avvalimento e l’art. 41 cost.
Ha inoltre chiarito il ruolo e la funzione del predetto art. 13.
La vicenda è nata a seguito dell’esclusione, da parte di una stazione appaltante, di un concorrente che aveva partecipato alla procedura ad evidenza pubblica, facendo ricorso alla possibilità di avvalersi dei requisiti, strumenti, mezzi e unità di personale di una società a capitale interamente pubblico e partecipata in via principale da un ente territoriale.
La commissione di gara, sospesa la procedura ad evidenza pubblica, chiesto e ottenuto parere dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dichiarava aggiudicataria un’altra partecipante.
Il motivo di ricorso avverso tale atto della pubblica amministrazione qui di interesse è stata la prospettazione che l’art. 13 d.l. 223/2006 (cosiddetto «Decreto Bersani», conv. in l.248/2006) sarebbe stato erroneamente applicato, in quanto l’ausiliaria non sarebbe qualificabile come partecipante alla gara.
La norma, stabilisce che «Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti competenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto, né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti….»
Quanto alla questione se il soggetto di cui si avvale la società partecipante possa o meno essere qualificato come soggetto partecipante alla gara, il collegio giudicante ha rilevato come la legge stabilisca, all’art. 46 co. 4, che quando un concorrente si avvale dei requisiti di un altro soggetto, per soddisfare i requisiti previsti dai bandi di gara, sia il contraente che il soggetto ausiliario sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante per le prestazioni oggetto del contratto.
Conseguentemente, la prestazione può essere ricondotta ad entrambi i soggetti dell’avvalimento e tali soggetti possono quindi configurarsi come contraenti necessari.
I giudici, accertato il carattere strumentale del soggetto di cui si è avvalsa la partecipante alla gara, hanno stabilito che l’art.13 d.l. 223/2006, conv. in l. 248/2006 non solo non viola l’art. 41 cost., ma «ne costituisce immediata applicazione, mirando dichiaratamente a preservare il mercato da alterazioni e fenomeni distorsivi delle regole della concorrenza», ritenendo che la norma mira ad evitare che alcune imprese possano avvantaggiarsi della struttura della propria compagine societaria per la presenza di soci pubblici.
La ratio legis dell’art. 13, dunque «non solo è volta a tutelare il principio di concorrenza e trasparenza, ma anche – e soprattutto – quello di libertà di iniziativa economica che risulterebbe gravemente turbato dalla presenza (e dalla operatività sul mercato) di soggetti che proprio per la presenza (diretta o mediata) della mano pubblica finiscono in sostanza con l’eludere il rischio d’impresa.»

(a cura dell’Avv. Simone Lazzarini e del Dott. Valentin Vitkov)

TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, sentenza n.5796-2008

I poteri degli ausiliari della sosta non sono “superpoteri”

 Interessante Sentenza della Corte di Cassazione Sezione II sui poteri di accertamento degli ausiliari della sosta.

La Sentenza è stata depositata il 13/1/09 è contraddistinta dal n°551/09 ed annulla una Sentenza del Giudice di Pace che aveva dato torto ad un automobilista che era stato multato per aver parcheggiato sul marciapiedi.

In poche parole questo è il ragionamento della Cassazione a sezione semplice.

Gli ausiliari della sosta ed i dipendenti delle aziende di trasporto pubblico possono irrogare sanzioni amministrative (multe).

Tale potere è però loro conferito in via eccezionale e le norme che glie lo conferiscono devono essere interpretate nel senso più restrittivo possibile.

Gli ausiliari della sosta (e i dipendenti delle aziende di trasporto pubblico) possono quindi esercitare il loro potere solo se tale esercizio è strettamente connesso all’attività di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone.

Altrimenti, c’è difetto di potere.

Quindi se un soggetto parcheggia – per esempio – sulle rotaie del tram oppure su un parcheggio in concessione, gli ausiliari della sosta lo possono multare, altrimenti no.

Il ricorrente del caso deciso aveva parcheggiato su un marciapiedi non in concessione quindi – così la Sentenza – a poterlo multare erano solo i vigili, non gli ausiliari della sosta.

La multa va quindi annullata

Una curiosità: la Cassazione ha condannato il comune a pagare le spese legali dei due gradi di giudizio.

Ovviamente, per farsele riconoscere è stato necessario andare in Cassazione.   

Il canone RAI e l’acqua pura

 Come probabilmente è già noto a chi frequenta queste pagine, la Corte Costituzionale, con una recente Sentenza, ha affermato che se l’acqua non è depurata non si deve pagare la depurazione.

La Sentenza è già stata commentata, quindi non ci ritornerò sopra più di tanto. Basti dire che il giudice delle leggi ha sostenuto che il contratto di somministrazione è un “banale” contratto di diritto privato. La depurazione è un servizio, non un canone od una tassa. La conseguenza è che se c’è il servizio di depurazione, si paga. Se non c’è, non si deve pagare.

E adesso parliamo del canone rai.

Il balzello è previsto dal RD 246/1938, quando la televisione la conoscevano forse Marconi e pochi altri.

Gli anni sono passati. Dalla EIAR si è passati alla RAI, dalla Rai alle TV commerciali (e a Sky ed alle altre TV a pagamento); sono nati la televisione, i computer, i videofonini, i videocitofoni, ma il canone RAI è rimasto.

Perchè, secondo la Cassazione, il canone RAI “originariamente configurato come un corrispettivo dovuto dagli utenti di un servizio riservato allo stato ed esercitato in regime di concessione, ha da tempo assunto natura di entrata tributaria”. (Cass. SSUU 20068/2006)

Esso “non trova la sua ragione nell’esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente e la RAI” (Cass. Sezioni Unite 20 novembre 2007 n°24010)

Insomma: è una tassa.

Il presupposto dell’imposizione tributaria è il possesso di un apparecchio in grado di ricevere o trasmettere immagini. Qualunque apparecchio: TV, videofonino, videocitofono, computer. Etc.

Se si possiede un apparecchio di questo tipo, si deve pagare il canone.

Così è la legge. È una legge giusta?

La Corte Costituzionale (Sentenza 284/2002) ha spiegato come “la legittimità dell’imposizione debba misurarsi non più in relazione alla possibilità effettiva per il singolo utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato  (in parole povere: non c’entra nulla il fatto che uno guardi o no la Rai) ma sul presupposto della sua riconducibilità ad una manifestazione ragionevolmente individuata di capacità contributiva (in parole povere: se uno possiede un apparecchio in grado di ricevere e trasmettere immagini, è abbastanza ricco da poter pagare il canone) …l’interesse generale che sorregge l’erogazione del servizio pubblico può richiedere una forma di finanziamento fondata sul ricorso allo strumento  fiscale. Il canone televisivo costituisce in sostanza un’imposta di scopo destinato come esso è quasi per intero alla concessione del servizio pubblico radiotelevisivo (in parole povere il servizio TV è un servizio pubblico finanziato con tasse, anzi, in modo esclusivo o prevalente col canone)… il collegamento dell’obbligo di pagare il canone alla semplice detenzione dell’apparecchio indipendentemente dalla volontà e dalla possibilità di fruire dei programmi discende dalla natura di imposta impressa al canone che esclude ogni nesso di corrispettività in concreto tra obbligo tributario e fruizione effettiva del servizio pubblico. Presupposto dell’imposizione è la detenzione di apparecchi“. In parole povere: la RAI è un servizio pubblico ed è giusto che la si finanzi con una tassa, anche se poi, in concreto, uno non la guarda.     

L’affermazione non sarebbe tanto strana se la depurazione dell’acqua non fosse un servizio di diritto privato, come si è visto

Quindi, secondo la Corte Costituzionale, la RAI è un servizio pubblico così importante che è giusto che tutti paghino una tassa per mantenerlo. La depurazione dell’acqua… è meno importante e non richiede una tassa a carico della collettività.

Come dire che il fatto che tutti possano vedere “Affari tuoi” è più importante del fatto che tutti bevano acqua pura.