Class action: il tempo delle chiacchiere è finito

Nel primo pomeriggio di oggi, dopo un’attesa snervante, abbiamo finalmente discusso nel merito il ricorso per class action amministrativa che, a seguito della perdurante inerzia ministeriale, avevamo notificato ai Ministeri della Salute e dell’Economia e delle Finanze e poi depositato al TAR Lazio ancora nello scorso mese di giugno.
Preliminarmente desidero ringraziare i colleghi siciliani e romani che, intervenendo ad adiuvandum nel ricorso rispettivamente con alcune diecine e – addirittura – con alcune centinaia di assistiti, non ci hanno lasciato soli, ma hanno dimostrato nei fatti di aver pienamente condiviso la strategia adottata con i colleghi ricorrenti.
Prima dell’udienza l’avvocatura – che mai si era sentita in dovere di contattarci nei giorni precedenti – ha timidamente cercato di “strapparci” una richiesta di rinvio motivata con l’asserita imminenza della firma sul decreto, ma francamente – dopo essere appositamente venuti da Milano, Cagliari e Lecce – ci sono sembrati poco serio l’approccio e non convincenti le argomentazioni utilizzate.
Non è la prima volta che la controparte ministeriale, messa alle strette, tenta in modo assai bizzarro di stoppare le iniziative dei danneggiati in base a decisioni o fatti nuovi che, casualmente, si verificano sempre il giorno prima o stanno per accadere… è capitato diecine di volte anche in materia di indennizzo…
In sede di discussione abbiamo replicato a quanto scritto dal Ministero nelle proprie difese (un condensato di argomentazioni oggettivamente insostenibili su di una fantomatica natura “privatistica” – ?! – della procedura transattiva) ed abbiamo tutti evidenziato il non più tollerabile ritardo accumulato dal Ministero nella procedura, ritardo che proprio pochi giorni fa il Consiglio Stato ha affermato essere contrario anche all’art. 41 della Carta Europea dei Diritti fondamentali.
E ancora non abbiamo mancato di rimarcare il comportamento ondivago dell’Amministrazione che, con propria circolare, ha dapprima invitato le Avvocature distrettuali a sensibilizzare i legali dei danneggiati a chiedere rinvii nelle cause salvo poi, come dire (???!!!), “menare letteralmente il can per l’aia” per due anni limitandosi, dopo aver fatto correre tutti gli avvocati a completare la procedura telematica RIDAB entro il 19 gennaio 2010, a richiedere, all’evidente scopo di perdere tempo, il reinvio di atti e documenti già nella materiale disponibilità delle avvocature distrettuali e poi infine d’improvviso, cambiare strategia opponendosi alle richieste di rinvio… una farsa insomma…
Per tutta risposta l’Avvocatura ha negato l’esistenza di un provvedimento che in vece avevamo potuto vedere con i nostri occhi (la circolare che invitava a richiedere i rinvii nella cause pendenti) ed ha tentato maldestramente di portare la discussione su un tema, quello della necessità, avvertita dall’Avvocatura, di evitare di transare con soggetti con sentenze negative per prescrizione (così si è espresso l’Avvocato dello Stato), del tutto estraneo all’iniziativa della class action, come pure acutamente rilevato dal Presidente e comunque non idoneo da solo a giustificare due anni di attesa prima di prendere una decisione, qualunque essa sia (“siamo ben oltre il silenzio” ha laconicamente, ma significativamente rilevato il Presidente).
La causa è stata quindi trattenuta in decisione.
Naturalmente non mancheremo d’informarvi sugli ulteriori sviluppi.
Per concludere un doveroso chiarimento.
Personalmente, come ho più volte avuto modo di sottolineare a clienti e colleghi, sarei felicissimo se si realizzasse l’ipotesi del “superindennizzo” di cui allo schema di decreto legge del 5 maggio, ma se la volontà fosse stata e fosse reale la presente azione dovrebbe ed avrebbe dovuto rappresentare uno stimolo, non certo un ostacolo, considerato che la class action era stata preceduta dalla diffida ormai nove mesi or sono e che, nell’ambito di altra lodevole iniziativa giudiziaria, l’inerzia dell’amministrazione era stata censurata oltre un anno fa…
Chiunque dell’amministrazione statale sostenga il contrario (e cioè che la class action impedirebbe l’attuazione del maxi-decreto del 5 maggio) è in evidente malafede e tenta strumentalmente di precostituirsi un alibi per continuare a non fare gli interessi dei danneggiati, che dal primo gennaio (esemplificativamente) saranno costretti a pagare quasi tremila euro di contributo unificato (e quindi non spese di avvocato, ma spese in favore di quello stesso Stato che quel danno ha cagionato) per proporre un ricorso per cassazione avverso una sentenza di corte d’appello e ciò solo per mantenere in vita il contenzioso in essere in attesa che, “con comodo”, qualcuno si decida a risolvere il problema….
VERGOGNA.
Il tempo delle chiacchiere e dell’aria fritta è finito, ora è tempo di agire in tutte le sedi (la CEDU, per inciso, è già investita di numerosissimi ricorsi anche in tema di transazioni).
Buona serata

Avv. Simone LAZZARINI