Può capitare che una sanzione amministrativa venga annullata per vizi formali – l’esperienza insegna che ciò accade soprattutto quando il ricorso è proposto da un tecnico.
La prassi – mai abbastanza censurata – ci insegna anche, però, che il Giudice compensa le spese. Questo vuol dire che il Giudice stabilisce che ciascuno si paga la propria attività e, se il privato si è fatto assistere da un avvocato, che le spese di assistenza legale rimangono a carico di chi si è affidato al professionista.
Capita spesso, altresì, che il Giudice motivi la decisione di compensare le spese sostenendo che ciò è “equo” o “giusto” perché la sanzione è stata annullata per vizi formali e non sostanziali.
Con la Sentenza 8144/011 la Cassazione ha – non è la prima volta – censurato questa prassi.
Scendendo nel particolare ha affermato che “Il verbale di contestazione per violazione del codice della strada, infatti, può essere illegittimo tanto per vizi formali quanto per vizi sostanziali, e la prima categoria non è più lieve della seconda, non potendosi sostenere che nell’ordinamento vi sia un favor per gli errori meramente procedurali della pubblica amministrazione”.
Può anche capitare che il Giudice compensi le spese perché la somma irrogata a seguito di sanzione poi annullata era modesta.
La Cassazione si pronuncia anche su questo punto ed afferma: “Il modesto valore della controversia non è di per sé giustificativo della compensazione, determinando questo la scelta dello scaglione di valore della controversia su cui parametrare la condanna alle spese”.
Infine la Cassazione impone che in caso di annullamento della sanzione vi deve essere condanna alle spese sia quando il cittadino si difende da solo sia quando il cittadino si avvale di un legale. Ciò perché “Non può essere imputato a colpa della parte che ha adito il giudice proponendo l’opposizione a verbale il mancato esercizio della facoltà di difendersi personalmente, giacché il cittadino, con l’adire il giudice e con il farsi assistere innanzi ad esso da un professionista, esercita dei diritti espressamente attribuitigli dall’ordinamento e garantiti dalla Carta costituzionale (Cass., Sez. 2^, 19 novembre 2007, n. 23993)”.
Tre riflessioni:
a) Il principio affermato dalla Cassazione, oltre che equo, appare conforme al dettato legislativo in tema di soccombenza e difficilmente contestabile.
b) L’obbligo di condanna alle spese dovrebbe valere nei due sensi: chi perde dovrebbe pagare sempre le spese – sia che a perdere sia il cittadino, sia che a perdere sia l’ente che ha emesso la sanzione. In un’ottica di correttezza dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione dovrebbe essere perfettamente normale, anzi, una più estesa applicazione di questo principio porterebbe senz’altro ad una deflazione del contenzioso, evitando ricorsi francamente fantasiosi, diminuendo il numero di cause davanti al Giudice di Pace e velocizzando la durata di quelle rimanenti.
c) Spesso il costo dell’opposizione – vinta – che rimane a carico del cittadino vittorioso è obbiettivamente esiguo, quindi, prima di impugnare la Sentenza che ha ingiustamente compensato le spese, bisogna anche tenere conto delle spese del giudizio di appello (che andrebbero comunque anticipate). Insomma: fra pratica e grammatica rimane ancora una certa differenza.
Uno spunto: sarebbe interessante valutare se e come questo principio possa essere applicato – e, in verità, non si vede perché no – ad altri atti amministrativi annullati per vizi formali oppure (ancora una volta, perché no?) alle cartelle esattoriali.