Casa nuova, spese condominiali vecchie.

 È buona norma ricordarsi il disposto dell’art. 63 disp. Att. c.c. che prescrive “Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente“. Per questa ragione, è buona norma, quando si compra casa, chiedere il c.d. “certificato di pagate spese”, cioè un’attestazione che acclari che il venditore è in regola coi pagamenti condominiali.

E se non accade?

Come sopra letto, il condominio può chiedere ad acquirente e compratore il pagamento delle spese condominiali predette (cioè quelle relative all’anno in corso ed a quello precedente).

Come?

La Cassazione, confermando un precedente orientamento, esclude che il condominio possa chiedere un Decreto Ingiuntivo ad un ex condomino.

Con la recente Sentenza 23686/09 – sezione II – ha affermato che non esiste il “condomino apparente”. “L’obbligo di pagamento degli oneri condominiali ex art. 1104 c.c. è collegato al rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile”, quindi “alla perdita di quella qualità consegue che non possa essere chiesto né emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo” (conforme v. Cass. 23345/2008)

Ovviamente, questo non significa che il venditore moroso non debba pagare.

A così ritenere, infatti, si finirebbe per abrogare l’art. 63 disp. Att. sopra citato.

Su questo punto la cassazione ha così affermato “l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la concreta attuazione dell’attività di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione, cfr. tra le altre Cass. 12013/2004 (v. In motivazione); 6323/2003; 4393/1997.

L’obbligazione di corrispondere i contributi relativi al godimento dei beni e dei servii comuni può qualificarsi reale, nel senso che la titolarità del soggetto passivo è determinata in base al rapporto di natura reale esistente con la cosa al momento in cui sorge l’obbligazione” Giustamente, quindi si afferma “l’esistenza del credito azionato nei confronti del venditore  in quanto relativo alla gestione di beni e di servizi condominiali concernente un periodo di tempo anteriore alla vendita dell’appartamento“. (v. sempre Cass. 23345/2008) .

Quindi, l’ex condomino può essere richiesto del pagamento, ma non con un Decreto Ingiuntivo, che può essere pronunciato solo contro l’attuale condomino.

Se ne può dedurre che contro l’ex condomino sia possibile un atto di citazione ordinario.  

Il condominio in frantumi e la notifica del titolo esecutivo

Qualche tempo fa, commentando la nota Sentenza delle SSUU circa la fine, almeno per certi versi, della solidarietà tra condomini in materia condominiale, ci si domandava “Sul piano processuale (ma qui è d’obbligo procedere con molta cautela) si potrebbe porre il problema della notifica del titolo esecutivo” e si restava in attesa di pronunce della giursprudenza che affrontassero la questione.

Una  delle prime in materia è la Sentenza 11/3/2009 n° 6693 del Tribunale di Napoli.

Il caso era quello di un soggetto che aveva ottenuto un Decreto Ingiuntivo contro un condominio e, non pagato, aveva notificato atto di precetto ad un condomino.

Questi si opponeva eccependo che nessuno aveva mai notificato a lui il decreto ingiuntivo in forma esecutiva.

Il decreto era stato notificato infatti al condominio, ma mai al condomino.

Il Giudice ha ritenuto che non sia dubbia la c.d. efficacia espansiva del titolo esecutivo, ma sia incerto se, prima di procedere contro il singolo condòmino, sia necessario notificare anche a lui personalmente il Decreto.

Il giudice partenopeo ha risolto il dubbio rispondendo di no.

Secondo il Giudice è sufficiente che il creditore notifichi il titolo esecutivo al condominio. Una volta soddisfatto questo incombente, il creditore può agire in executivis contro il singolo condòmino.

Ciò in quanto l’art. 654 c.p.c., che esclude la “rinotifica” del titolo ai fini dell’eecuzione è norma speciale  che prevale sulla norma generale di cui all’art. 479 c.p.c.

La dottrina (v. nota di Ghigo Giuseppe Caccia in “Altalex” articolo del 9/10/2009) opina che la norma di cui all’art. 654 si riferisce al caso in cui il debitore è sempre lo stesso, mentre, nel caso di specie, il titolo è stato notificato prima ad un soggetto (il Condominio) e poi ad un altro soggetto (il condòmino) distinto dal primo.

Dal punto di vista teorico, per quanto possa valere l’opinione personale dello scrivente, l’obiezione coglie nel segno. Anzi, si può andare ancora oltre. Se si ritiene che l’obbligazione del condòmino sia parziaria (come affermano le SSUU) e che condòmino e condominio siano soggetti non confondibili, si potrebbe anche sostenere che, per poter agire nei confronti del singolo, è necessario notificargli un titolo esecutivo “parziario” e specificamente diretto contro di lui per la quota che lo riguarda.  A giudizio di chi scrive, se si ragionasse diversamente (come si può dire faccia il Tribunale di Napoli) si perverrebbe ad una specie di “notifica collettiva ed impersonale” al di fuori dei casi di successione iure hereditario.   Tale procedura, siccome (ancora una volta) speciale, non può, sempre a parere dello scrivente, essere applicata in via estensiva al di fuori delle succesioni mortis causa.

Al di là delle riflessioni teoriche, tuttavia, la prassi è allo stato orientata nel senso che sembra. La ragione potrebbe essere (e, in un punto, la Sentenza in commento lo suggerisce) l’esigenza di una “maggiore speditezza” del processo esecutivo.

Tale esigenza non può essere tenuta in non cale, sicchè sarà interessante verificare se e quali altri Tribunali aderiranno all’orientamento di quello di Napoli e quale altro orientamento seguiranno le Corti superiori.

Forse (?) si potrebbe arrivare a porre nuovamente la questione all’attenzione della Suprema Corte, magari suggerendo una “rimeditazione” della Sentenza SSUU 9148/2008.

E’ fuori di dubbio, infatti, che tale pronuncia, oltre a sollevare numerosi problemi, moltiplica i procedimenti (ed i relativi costi).

A tale proliferazione di contenzioso cerca di rimediare, quantomeno sul piano esecutivo, la pronuncia del Tribunale di Napoli qui commentata.

  

I termini per impugnare le delibere condominali (I)

 Per una corretta impostazione del rapporto tra condomini e condominio è necessario ricordare che, come principio generale, le delibere sono obbligatorie per i condomini che le hanno approvate.

È ovvio che un condomino assente o dissenziente ha diritto di impugnare una delibera alla quale è contrario, mentre se un condomino è favorevole a quanto deliberato – ed esprime il proprio favore in assemblea – non la può impugnare.

Pertanto (per esempio) un condomino che “cambi idea” e decida di non approvare più una delibera che prima aveva approvato si vedrà respinta l’impugnazione, salvo casi specialissimi di cui si dirà più oltre.

E il condomino astenuto?

In linea generale In tema di impugnazione di delibere di assemblea di condominio annullabili, la legittimazione ad impugnare va riconosciuta anche al condomino presente che si sia astenuto dal voto. (Cass. civ., Sez. II, 10/10/2007, n. 21298) in quanto il condomino che si astiene è equiparato al condomino dissenziente (Cass. 129/1999).

È anche ovvio, però, che una delibera condominiale, anche se immediatamente esecutiva, non può rimanere “sospesa” all’infinito perché un domani qualcuno la potrebbe impugnare.

Per questa ragione la legge – art. 1137 c.c. – stabilisce un termine breve per le impugnazioni ed impone “a pena di decadenza” che chi intende impugnare una delibera debba farlo entro trenta giorni.  “A pena di decadenza” vuol dire che se il termine scade inutilmente la delibera è intangibile e quanto da essa stabilito non può più essere messo in discussione.

Questo termine rigoroso può essere aggirato solo nel caso di delibere c.d. “nulle”.

La giurisprudenza, da molti anni, ha infatti introdotto una distinzione (ignota alla legge) tra delibere “nulle” e delibere “annullabili”.

Le delibere annullabili sono quelle delibere viziate che devono essere impugnate a pena di decadenza, come si diceva sopra, entro trenta giorni dal momento in cui il condomino assente, dissenziente od astenuto ne ha avuto conoscenza.

Le delibere nulle sono delibere affette da un vizio così grave che possono essere impugnate e rese invalide in qualsiasi momento, anche dopo la scadenza del predetto termine di trenta giorni.

Anche per evitare un proliferare di ricorsi tardivi la giurisprudenza interpreta in modo restrittivo (e, col passare del tempo, sempre più restrittivo) il concetto di nullità di delibera assembleare.

La più importante delle pronunce più recenti della Cassazione in materia di nullità di delibera assembleare condominiale ha affermato (tra l’altro) che “Devono qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all’oggetto, devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto. ” (Cass. SSUU 4806/2005)

Un criterio che i Tribunali interpretano in modo rigoroso, sicché si può dire che la maggior parte delle delibere condominiali viziate sono affette da semplice nullità (il concetto di più difficile individuazione di solito è quello della compressione dei diritti individuali) e devono quindi essere impugnate entro tenta giorni.

Un ultimo chiarimento pare necessario – ovviamente, per i “non addetti ai lavori”. La impugnazione di una delibera assembleare non è una contestazione inviata per raccomandata o in altra forma. È una causa. E, trattandosi di una decadenza, o si fa causa nei termini innanzi al Tribunale, oppure si subisce il deliberato dell’assemblea, né l’invio di lettere, fax, messaggi di qualunque genere e natura può supplire al mancato deposito del ricorso.

Quindi, se si intende contestare una delibera condominiale, è bene muoversi per tempo allo scopo di valutare con la dovuta ponderatezza se intraprende o no un giudizio che avrà, inevitabilmente, i suoi tempi e i suoi costi.  

Il condominio in frantumi e l’opinione (personalissima) dello scrivente.

Spronato dai commenti, e anche dal fatto che, forse, qualche utente del diritto frequenta questo sito, oserei esporre il mio personalissimo parere sulla Sentenza delle SSUU che afferma la natura parziaria delle obbligazioni del condominio.

E’ tesi, anzi, ancor meno: riflessione affatto personale;  il principio della Cassazione a Sezioni Unite è quello espresso nella Sentenza di cui sopra.

Quanto segue è idea mia, forse totalmente, forse parzialmente sbagliata  (non oso dire: forse giusta), sicuramente aperta a contributi e revisioni – anche radicali.

Si è visto che la Cassazione a SSU parte dal concetto di divisibilità dell’obbligazione pecuniaria del condominio verso il fornitore per dedurre la parziarietà di tale obbligazione.

Volendo essere più realisti del re, osserverei innanzi tutto che posso pulire il 2° piano e non il primo, che posso rifare mezzo tetto – oppure una sola palazzina etc.. Quindi a volte anche l’obbligazione del fornitore è divisibile (tant’è che spesso viene pagata a Stato Avanzamento Lavori), ma non è tanto questo il punto.

Il punto è che mi pare che il codice (1292 c.c.) dica: l’obbligazione è solidale quando può essere adempiuta in un certo modo etc. etc. Non dice cioè: l’obbligazione solidale è X e, se è solidale (quindi uguale ad X), allora deve essere adempiuta così.

L’obbligazione viene definita solidale in funzione delle peculiari modalità del suo adempimento. Non in funzione di sue caratterische intrinseche (chiamiamole pure consustanziali od ontologiche, se ci piace).

La cassazione dice invece: l’obbligazione dei condomini verso il fornitore (ma non viceversa) è divisibile. Anzi, è comodamente divisibile. Quindi non è solidale. Ma il codice non dice mica che le obbligazioni solidali debbano essere necessariamente indivisibili. Anzi, di indivisibilità non parla proprio.

Dice solo che la prestazione deve essere una; letteralmente, “la medesima”. Ma ciò non vuol dire “divisbile”.

Anzi – e maggior ragione – se si guarda l’art. 1314 c.c. si legge “se più sono i debitori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è solidale…” allora l’adempimento è parziario. Segno (secondo me) che ci possono essere obbligazioni divisibili solidali e obbligazioni divisibili parziarie.
Ma divisibilità non vuol dire affatto automaticamente parziarietà.
Prova ne sia che il successivo art. 1317 c.c. afferma “le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme relative alle obbligazioni solidali”.
Se fosse come dicono le SSUU, la norma sarebbe scritta al contrario e cioè “le obbligazioni solidali sono regolate dalle norme sulle obbligazioni indivisibili”. Ma così non è.
Il principio del 1317 cioè non funziona anche all’inverso. Almeno a mio parere.

Quello che le SSUU sottendono – o sottintendono, ma neanche troppo – è, invero, e sempre a mio giudizio, che in realtà il condominio non è un soggetto di diritto unitario. Prova ne sia che criticano la sua qualificazione in termini di “ente di gestione”.
Se il condominio cessa di essere ente unitario allora esistono solo i condomini – che, logicamente, non possono essere che tenuti pro quota.
Di qui le conseguenze di cui alla citata Sentenza.

A prescindere da questo, è vero e sacrosanto che il legislatore non dice espressamente che le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi sono solidali. Ma non dice nemmeno il contrario.

Una riflessione sui profili fiscali m’induce ad un’altra considerazione: sappiamo che il condominio è sostituto d’imposta e soggetto a taluni tributi.

Orbene: se io condominio non verso la ritenuta d’acconto del 4% o non adempio ai mei obblighi fiscali in generale, allora il fisco – seguendo il ragionamento della Cassazione – dovrebbe prenderesela pure lui pro quota con singoli condomini insolventi (e mi vien fatto di pensare alla tarsu, alle sanzioni comminate perchè Tizio Caio o Sempronio non separano la spazzatura etc. etc.)

Non mi pare logico che per il fisco il condominio sia un soggetto unitario, mentre per il sig. Giovanni che ha un impresa edile, no.

Quindi se il comune, per entrate sue non tributarie, pignora l’appartamento del sig. Mario perchè il condominio a cui il Sig. Mario appartiene non paga un’imposta, il sig. Mario potrà proporre opposizione all’esecuzione, con la certezza di vincerla (soprattutto in Cassazione …).

Per quanto riguarda le entrate tributarie, per le quali l’opposizione all’esecuzione non è ammessa, il sig. Mario potrà chiedere i danni ad Equitalia perchè gli ha pignorato la casa per un debito non suo e generato da un’insolvenza di cui non ha alcuna colpa.

Al di là della battuta (è fin troppo facile criticare i rivolti pratici della Sentenza in commento) mi pare che il legislatore consideri sotto più aspetti il condominio come centro unitario d’imputazione di rapporti giuridici (visto che non si vuole chiamarlo ente di gestione).

E i giudici sono soggetti solo alla legge. Non alla cassazione. Neppure alle SSUU.

Visto che, tutto sommato, mi pare sostenibile che il condominio sia centro unitario di rapporti giuridici (ma poi magari m sbaglio, resto in attesa di pareri contrarii) resta da verficare se l’equivalenza  divisibilità = parziarietà sia così pacifica, logica, insormontabile.

Secondo me, no. Ma non so che ne pensate voi…  

Consegna documenti al nuovo amministratore condominiale

Che cosa accade se il vecchio amminsitratore del Condominio non consegna i documenti a quello nuovo, magari utilizzandoli come “arma di pressione” per farsi pagare importi che il nuovo amministratore non può controllare proprio perchè non ha  documenti?

Ormai da tempo la giurisprudenza (v. TSalerno 3/10/06, ma anche lo scrivente ha ottenuto analoga ordinanza dal Tribunale di Desio nonchè da quello di Milano) ha affermato la illegittimità di tale comportamento, autorizzando il nuovo amministratore a ricorrere in via di urgenza all’Autorità Giudiziaria onde ottenere coattivamente la cosegna dei documenti indebitamente trattenuti.