Lo Stalker è, lo sappiamo, un “persecutore” un soggetto che ossessiona un altro chiedendo contatti a chi, con lui, preferirebbe non avere nulla a che fare (a parere dello scrivente si potrebbe usare senz’altro il termine italiano, ma la lotta contro l’abuso – non l’uso – di parole straniere, si sa, è tanto nobile quanto vana).
Nel caso su cui la Cassazione si è pronunciata il contribuente aveva accusato il fisco di “persecuzione”.
Il contribuente in questione si lamentava del tardivo ritiro di un atto impositivo sbagliato: si trattava di una cartella esattoriale ritirata dopo sei mesi di insistenti tentativi.
Secondo i “motivi della decisione” della Sentenza (Sent. 8703/09), il contribuente si doleva del fatto che il fisco aveva leso il suo “diritto alla tranquillità, facendogli perdere tempo ed energie, tra visite a vuoto agli sportelli, richieste e reiterati solleciti, per dimostrare che la somma richiesta non era dovuta“.
Aveva quindi agito contro il Giudice di Pace di Catania chiedendo il risarcimento del danno.
Il Giudice di Pace aveva accolto la richiesta e condannato al risarcimento del danno, pari ad € 300,00 (calcolati probabilmente in base ad un criterio equitativo) l’Agenzia delle Entrate.
Quest’ultima aveva impugnato in Cassazione.
La Sentenza si segnala per il collegamento con le Sentenze (in primis la 26972/08) che hanno affermato che “il danno esistenziale non esiste”.
In sintesi, la Cassazione (stavolta a sezione semplice) osserva che quello di cui, nel caso in esame, il contribuente si lamentava, era un danno non patrimoniale.
Se ne deduce che il risarcimento chiesto dal contribuente non equivaleva a (per esempio) ore di lavoro perse, ma a fastidi, disagi, seccature.
Osserva la Cassazione che, perché possa aversi risarcimento del danno non patrimoniale, è necessario che vi sia
•- un reato oppure
•- un altro fatto illecito produttivo di danno non patrimoniale (argomento ex art. 2059 c.c.) oppure
•- la lesione di un diritto costituzionale inviolabile
In quest’ultimo caso (lesione di un diritto costituzionale inviolabile) la rilevanza costituzionale deve riguardare il diritto leso, non il pregiudizio sofferto. In altre parole, perché possa risarcirsi un danno non patrimoniale è necessario ledere un diritto costituzionalmente protetto.
Ma non basta. Occorre altresì che
•- la lesione non sia grave
•- il danno non sia futile
A tale ultimo proposito e citando apertamente la Sent. 26972/08 la Cassazione ricorda che “disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione sono danni bagatellari non meritevoli di tutela risarcitoria“.
È lecito dedurne che “la perdita di tempo ed energia tra visite a vuoto agli sportelli, richieste e reiterati solleciti ” è un danno bagatellare non risarcibile.
Sospendiamo un attimo il commento e parliamo di un’altra Sentenza.
Si parla – e forse si parlerà ancora – della Sentenza (sempre della Cassazione) n°4622/2009.
Qui leggiamo testualmente: “L’ufficio non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo “tanto non accade nulla”… ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso ufficio c’è da chiedersi (a parte i dubbi legittimi sulla sanità mentale e/o idoneità professionale delle persone fisiche responsabili di tali comportamenti) perché sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno … è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista“.
E allora?.
Vediamo di fare un po’ d’ordine.
Si definisce “autotutela” l’attività con la quale l’amministrazione finanziaria, di propria iniziativa oppure su richiesta del contribuente, ritira, modifica od annulla un atto (per. es. un avviso di accertamento o una cartella esattoriale).
Ad agire in autotutela, quindi, è sempre l’ente che ha emesso l’atto oppure l’organo superiore.
L’istanza con la quale il contribuente chiede che l’amministrazione finanziaria agisca in autotutela si definisce ricorso “gerarchico” o “in via amministrativa”.
Se invece il contribuente ricorre ad un giudice (trattandosi di cartelle esattoriali, di solito è la Commissione Tributaria, ma può essere anche il Tribunale) si parla di “ricorso giurisdizionale”.
In questo caso il contribuente chiede sempre il ritiro, la modifica o l’annullamento dell’atto, ma chiede che a decidere in proposito non sia l’ente che ha emesso l’atto (oppure quello superiore), bensì un giudice.
Il ricorso giurisdizionale deve essere proposto, a pena di decadenza, entro un certo termine. Se il termine non viene rispettato, il ricorso giurisdizionale viene dichiarato inammissibile e respinto per vizio di procedura (decadenza).
Il malcapitato contribuente di cui si è occupata la Sentenza della quale si parlava all’inizio aveva scelto la strada del ricorso gerarchico.
Aveva perso tempo ed era andato avanti ed indietro dagli sportelli.
Tempo “perso” appunto, proprio perché non risarcito né risarcibile.
A questo proposito, in punto di principi costituzionalmente protetti (e lesi?) il pensiero corre all’art. 97 della Costituzione il quale afferma che devono essere “assicurati il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione“, ma andiamo avanti…e tiriamo le fila.
Il tempo perso tra Erode e Pilato per ottenere l’autotutela è una “seccatura” per cui non si dovrebbero seccare i giudici (perdonate il gioco di parole).
Peraltro, dato che gli atti impositivi producono effetti giuridici, il contribuente non può “starsene tranquillo tanto non accade nulla” ma (come dice la seconda Sentenza) “ha la necessità di rivolgersi ad un professionista“.
Quindi se l’autotutela si rivela inutile (ed abbiamo visto che non è neanche il caso di sprecarsi troppo per ottenerla) tanto vale rivolgersi ad un professionista prima che scadano i termini per proporre ricorso giurisdizionale ed agire davanti alla Commissione Tributaria.
In un mondo ideale, se l’atto impositivo si rivela “folle“, tanto che è “lecito dubitare della sanità mentale” di chi l’ha emesso, la Commissione dovrebbe condannare – e condannare pesantemente – il fisco al pagamento delle spese di lite, spese che non si possono definire “disagi, fastidi, disappunti, ansie“.
In un mondo ideale.
Però in un mondo ideale non dovrebbero neppure esistere atti impositivi “demenziali”.
Complimenti Roberto.
uno splendido articolo davvero…
un saluto.
Ottavio