La Corte d’Appello di Milano (sentenza n.1076/2013) conferma la sentenza del Tribunale di Milano: oltre 250.000 euro ad un trasfuso occasionale, e la sofferenza derivante dalla consapevolezza della malattia è “fatto notorio”

Con sentenza n. 1076, depositata in cancelleria lo scorso 13 marzo 2013 la Corte d’Appello di Milano, Sezione Seconda, in un caso seguito dal nostro studio, ha integralmente confermato la sentenza n.6418 del 30 maggio 2012 con la quale il Tribunale di Milano, Sezione Decima Civile, aveva condannato il Ministero della Salute a risercire con oltre € 250.000,00= un soggetto che, in conseguenza di trasfusioni somministrate nel 1983, aveva riportato un danno biologico permanente pari al 40%.
Il Giudice di primo grado, aveva ritenuto, ai fini della giusta commisurazione del risarcimento alla specifica fattispecie e alla effettiva entità del danno, che dovesse tenersi conto, anche, della gravità della sofferenza psichica ingenerata nella danneggiata dalla acquisizione della consapevolezza di aver contratto epatopatia cronica e della possibilità che questa, come è notorio, potesse evolvere in cirrosi e anche in neoplasia epatica.
In particolare il Tribunale aveva condivisibilmente affermato che “tale sofferenza, con evidenti ripercussioni sulla sfera sessuale e sulle relazioni interpersonali anche intrafamiliari può considerarsi come fatto notorio dalle particolarità della patologia contratta ….perciò il giudice ritiene di elevare a € 235.000,00 il risarcimento spettante all‟attrice per il danno biologico permanente” riportato“.
Onestamente, visto a posteriori, era il minimo che potesse fare, considerato che la stessa sezione del Tribunale (sentenza n.9749/2012) ha successivamente ritenuto di poter liquidare addirittura un milione di euro ad un ex-calciatore che ha affermato di essere stressato perchè, per quattro anni, ha visto intaccato il suo diritto alla privacy…
Quanto vale, allora, la mancata tranquillità di chi, avendo la sola colpa di essere meno famoso, deve convivere tutta la vita con una malattia degenerativa potenzialmente letale??????
Tornando alla vicenda che occupa, il Collegio di appello, punto per punto, ho smontato tutte le argomentazioni, invero alquanto “fumose”, accampate dal Ministero nel tentativo di ottenere la riforma del giudizio di prime cure ed ha quindi confermato, tra l’altro, la ricostruzione del danno psichico derivante dalla consapevolezza di essere malati come “fatto notorio” non abbisognevole di prova alcuna.
Uno degli aspetti maggiormente positivi dell’intera vicenda è rappresentato dalla velocità (meno di un anno dalla sentenza di primo grado) con la quale si è giunti alla definizione della vicenda in grado di appello.
Mentre solitamente dal momento della proposizione dell’appello a quello della sua definizione passa un tempo, almeno a Milano, non inferiore a 3-4 anni in questo caso specifico, grazie anche all’avvento della nuova normativa processuale “acceleratoria” in grado di appello, il Collegio, ritenendo ad un primo sommario esame che il proposto appello del Ministero non avesse ragionevoli probabilità di essere accolto, ha opportunamente invitato le parti alla discussione orale – esonerandole dal deposito delle tradizionali comparse conclusionali – e, all’esito, confermata la iniziale “diagnosi” d’infondatezza dell’appello del Ministero, lo ha respinto condannandolo altresì ad una sostanziosa rifusione delle spese di lite.
C’è da augurarsi che la conferma della sentenza faccia comprendere al Ministero l’inutilità di un ricorso per cassazione, che avrebbe fini unicamente dilatori, e, ad un tempo, l’opportunità di provvedere al sollecito pagamento del dovuto, anche per non esporre l’Amministrazione – e, per essa, la collettività – ad ulteriori e pesanti oneri, con annesse responsabilità contabili (e non solo).

Avv. Simone LAZZARINI

Tribunale civile di Milano, Sezione X Civile, sentenza n.6418-2012 – versione privacy

Corte d’Appello di Milano, Sezione Seconda Civile, sentenza n.1076-2013 versione privacy

Secondo il Tribunale di Padova va risarcito il danno non patrimoniale da ritardata liquidazione dell’indennizzo ex lege 210/1992

Con sentenza n.204 del 27 febbraio 2013 il Tribunale di Padova, Sezione Lavoro, in un caso patrocinato dal nostro studio, ha ritenuto di poter riconoscere, ad una danneggiata che aveva atteso oltre sei anni prima di vedersi riconoscere l’indennizzo di cui alla legge n.210/1992, un risarcimento diverso ed ulteriore rispetto ad interessi e rivalutazione.
Secondo il giudice veneto “tale danno va messo in relazione con il trascorrere di quasi quattro anni dalla visita della commissione medica all’effettiva erogazione dell’indennizzo. Tale ritardo si è tradotto in un aggravio delle condizioni psicofisiche della ricorrente ed in un ulteriore stress emotivo, che si è aggiunto alla patologia accertata. Il danno va equitativamente liquidato in una misura pari al 20% dell’indennizzo dovuto sino a tutto l’agosto 2001
C’è da scommettere che la pronuncia – che si innesta sul leading case ottenuto dallo Studio oltre dieci anni or sono formarà oggetto di appello da parte dell’Amministrazione e probabilmente sarà riformata, in quanto la Corte di Cassazione è già più volte intervenuta sul punto per affermare, con argomentazioni discutibili (ed oggetto di nostri ricorsi alla Cedu), che “La ritardata erogazione dell’indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, non configura un danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., che riguarda le ipotesi in cui sia leso un valore inerente la persona, atteso che tale valore viene già tutelato, nella specie, mediante l’erogazione dell’indennizzo stesso” (quasi un’autorizzazione implicita all’Amministrazione affinchè possa comportarsi nel peggiore dei modi possibili..al massimo rischia di pagare interessi…).
Tuttavia è bello sapere che, ogni tanto, si può ancora incontrare qualche giudice meno corporativo e più attento alle ragioni dei danneggiati

Avv. Simone Lazzarini

Tribunale civile di Padova, Sezione Lavoro, sentenza 27 febbraio 2013, n.204

il leading case
Tribunale civile di Milano, Sezione Lavoro, sentenza n.3358 del 26 novembre 2002

Piovono le PEC di non ammissione alla transazione dal Ministero della Salute, ma non ci arrendiamo, anzi…

Cari amici e frequentatori del sito,
preliminarmente desidero scusarmi con voi per il fatto che il sito fatica ad essere aggiornato come un tempo.
Il motivo è semplice.
Stiamo convogliando tutte le forze nell’ormai annosa “battaglia” con il Ministero della Salute per il risarcimento dei danni da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti e l’attività quotidiana di studio sta sottraendo energie e risorse preziose.
Il Ministero della Salute ha finalmente scoperto le carte e rivelato per facta concludentia la propria intenzione di non transare con nessuno o quasi.
Dopo lo sforzo compiuto per la predisposizione dei ricorsi al Tar Lazio, al Capo dello Stato ed alla Cedu avverso il decreto-moduli del 4 luglio 2012, a partire dal mese di dicembre anche il nostro studio ha cominciato a ricevere le PEC che, al momento in cui scriviamo, sono arrivate al ragguadevole numero di 51, tutte ahimè negative.
Nel termine di venti giorni dal ricevimento delle singole comunicazioni di non ammissione alla procedura transattiva stiamo formulando le nostre controdeduzioni, ma è prevedibile che – almeno per la maggior parte dei casi – il provvedimento finale sara di conferma del preavviso di rigetto già ricevuto.
Il comportamento tenuto dall’Amministrazione nell’intera operazione transattiva dovrà però essere sottoposto ad un attento vaglio da parte della magistratura civile, penale, amministrativa e contabile, e ciò almeno sotto due profili. Continua a leggere