Il rosso non è il giallo (ma il vigile lo sa?)

 Si segnala una curiosa e recente Sentenza della Cassazione (Sent. 9888/09).

In verità, ad essere curiosa, più che la Sentenza è la sanzione amministrativa che è stata portata all’esame della Suprema Corte e che quest’ultima ha annullato.

Il Comune in questione aveva multato un signore perché era passato col rosso O col giallo.

“O” cioè “oppure” (forse il vigile era indeciso o in altre faccende affaccendato, come di solito lo sono gli agenti verbalizzanti).

Però il rosso non è il giallo, sia per madre natura, sia per il codice della strada.

Tant’è che, ai sensi dell’art. 41 nuovo codice della strada, “Durante il periodo di accensione della luce rossa, i veicoli non devono superare la striscia di arresto; in mancanza di tale striscia i veicoli non devono impegnare l’area di intersezione, né l’attraversamento pedonale, né oltrepassare il segnale, in modo da poterne osservare le indicazioni“.

Diverso il comportamento in caso di luce gialla perché “Durante il periodo di accensione della luce gialla, i veicoli non possono oltrepassare gli stessi punti stabiliti per l’arresto, di cui al comma 11, a meno che vi si trovino così prossimi, al momento dell’accensione della luce gialla, che non possano più arrestarsi in condizioni di sufficiente sicurezza; in tal caso essi devono sgombrare sollecitamente l’area di intersezione con opportuna prudenza“.

Due colori differenti e, quindi, due obblighi differenti. E quindi due sanzioni differenti.

Logica conseguenza è che una sanzione irrogata sul presupposto della violazione dell’una oppure dell’altra norma (… l’importante è sanzionare?) è indeterminata; si tratta di due “contestazioni del tutto diverse delle quali l’una esclude l’altra“.

Pertanto – conclude la Cassazione – la multa va annullata.

Logico (e forse non c’era bisogno della Cassazione per saperlo).

Se questo è il principio, ci si domanda se possa essere considerata generica – e quindi da annullare – una multa che contesti al conducente di avere “proseguito la marcia nonostante il divieto del semaforo”… che tipo di divieto? Assoluto (luce rossa) o relativo (luce gialla?).

Speriamo di non dover andare in Cassazione per saperlo.     

SE IL FISCO È UNO STALKER

 Lo Stalker è, lo sappiamo, un “persecutore” un soggetto che ossessiona un altro chiedendo contatti a chi, con lui, preferirebbe non avere nulla a che fare (a parere dello scrivente si potrebbe usare senz’altro il termine italiano, ma la lotta contro l’abuso – non l’uso – di parole straniere, si sa, è tanto nobile quanto vana).

Nel caso su cui la Cassazione si è pronunciata il contribuente aveva accusato il fisco di “persecuzione”.

Il contribuente in questione si lamentava del tardivo ritiro di un atto impositivo sbagliato: si trattava di una cartella esattoriale ritirata dopo sei mesi di insistenti tentativi.

Secondo i “motivi della decisione” della Sentenza (Sent. 8703/09), il contribuente si doleva del fatto che il fisco aveva leso il suo “diritto alla tranquillità, facendogli perdere tempo ed energie, tra visite a vuoto agli sportelli, richieste e reiterati solleciti, per dimostrare che la somma richiesta non era dovuta“.

Aveva quindi agito contro il Giudice di Pace di Catania chiedendo il risarcimento del danno.

Il Giudice di Pace aveva accolto la richiesta e condannato al risarcimento del danno, pari ad € 300,00 (calcolati probabilmente in base ad un criterio equitativo) l’Agenzia delle Entrate.

Quest’ultima aveva impugnato in Cassazione.

La Sentenza si segnala per il collegamento con le Sentenze (in primis la 26972/08) che hanno affermato che “il danno esistenziale non esiste”.

In sintesi, la Cassazione (stavolta a sezione semplice) osserva che quello di cui, nel caso in esame, il contribuente si lamentava, era un danno non patrimoniale.

Se ne deduce che il risarcimento chiesto dal contribuente non equivaleva a (per esempio) ore di lavoro perse, ma a fastidi, disagi, seccature.

Osserva la Cassazione che, perché possa aversi risarcimento del danno non patrimoniale, è necessario che vi sia

•-         un reato oppure

•-         un altro fatto illecito produttivo di danno non patrimoniale (argomento ex art. 2059 c.c.) oppure

•-          la lesione di un diritto costituzionale inviolabile

In quest’ultimo caso (lesione di un diritto costituzionale inviolabile) la rilevanza costituzionale deve riguardare il diritto leso, non il pregiudizio sofferto. In altre parole, perché possa risarcirsi un danno non patrimoniale è necessario ledere un diritto costituzionalmente protetto.

Ma non basta. Occorre altresì che

•-         la lesione non sia grave

•-         il danno non sia futile

A tale ultimo proposito e citando apertamente la Sent. 26972/08 la Cassazione ricorda che “disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione sono danni bagatellari non meritevoli di tutela risarcitoria“.

È lecito dedurne che “la perdita di tempo ed energia tra visite a vuoto agli sportelli, richieste e reiterati solleciti ” è un danno bagatellare non risarcibile.

Sospendiamo un attimo il commento e parliamo di un’altra Sentenza.

Si parla – e forse si parlerà ancora – della Sentenza (sempre della Cassazione) n°4622/2009.

Qui leggiamo testualmente: “L’ufficio non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo “tanto non accade nulla”… ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso ufficio c’è da chiedersi (a parte i dubbi legittimi sulla sanità mentale e/o idoneità professionale delle persone fisiche responsabili di tali comportamenti) perché sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno … è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista“.

E allora?.

Vediamo di fare un po’ d’ordine.

Si definisce “autotutela” l’attività con la quale l’amministrazione finanziaria, di propria iniziativa oppure su richiesta del contribuente, ritira, modifica od annulla un atto (per. es. un avviso di accertamento o una cartella esattoriale).

Ad agire in autotutela, quindi, è sempre l’ente che ha emesso l’atto oppure l’organo superiore.

L’istanza con la quale il contribuente chiede che l’amministrazione finanziaria agisca in autotutela si definisce ricorso “gerarchico”  o “in via amministrativa”.

Se invece il contribuente ricorre ad un giudice (trattandosi di cartelle esattoriali, di solito è la Commissione Tributaria, ma può essere anche il Tribunale) si parla di “ricorso giurisdizionale”.

In questo caso il contribuente chiede sempre il ritiro, la modifica o l’annullamento dell’atto, ma chiede che a decidere in proposito non sia l’ente che ha emesso l’atto (oppure quello superiore), bensì un giudice.

Il ricorso giurisdizionale deve essere proposto, a pena di decadenza, entro un certo termine. Se il termine non viene rispettato, il ricorso giurisdizionale viene dichiarato inammissibile e respinto per vizio di procedura (decadenza).

Il malcapitato contribuente di cui si è occupata la Sentenza della quale si parlava all’inizio aveva scelto la strada del ricorso gerarchico.

Aveva perso tempo ed era andato avanti ed indietro dagli sportelli.

Tempo “perso” appunto, proprio perché non risarcito né risarcibile.

A questo proposito, in punto di principi costituzionalmente protetti (e lesi?) il pensiero corre all’art. 97 della Costituzione il quale afferma che devono essere “assicurati il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione“, ma andiamo avanti…e tiriamo le fila.

Il tempo perso tra Erode e Pilato per ottenere l’autotutela è una “seccatura” per cui non si dovrebbero seccare i giudici (perdonate il gioco di parole).

Peraltro, dato che gli atti impositivi producono effetti giuridici, il contribuente non può “starsene tranquillo tanto non accade nulla” ma (come dice la seconda Sentenza) “ha la necessità di rivolgersi ad un professionista“.

Quindi se l’autotutela si rivela inutile (ed abbiamo visto che non è neanche il caso di sprecarsi troppo per ottenerla) tanto vale rivolgersi ad un professionista prima che scadano i termini per proporre ricorso giurisdizionale ed agire davanti alla Commissione Tributaria.

In un mondo ideale, se l’atto impositivo si rivela “folle“, tanto che è “lecito dubitare della sanità mentale” di chi l’ha emesso, la Commissione dovrebbe condannare – e condannare pesantemente – il fisco al pagamento delle spese di lite, spese che non si possono definire “disagi, fastidi, disappunti, ansie“.

In un mondo ideale.

Però in un mondo ideale non dovrebbero neppure esistere atti impositivi “demenziali”.

Il decreto è stato firmato? Si, no, forse..

Negli ultimi giorni abbiamo registrato notizie contraddittorie sull’avvenuta firma o meno del decreto da parte del Ministro Sacconi.
Da fonti attendibili parrebbe che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, sarebbe intervenuto di fatto “bloccando” in extremis la firma al decreto e tutti i successivi passaggi onde consentire – almeno si spera – un ulteriore incontro con associazioni e legali di riferimento.
Indubbiamente – soprattutto alla luce di quanto accaduto nelle precedenti riunioni dei tavoli tecnici – è difficile pensare che il testo del decreto, già vagliato dal Consiglio di Stato, possa essere stravolto o anche solo modificato.
Quanto sopra se ragioniamo da professionisti del diritto.
Tuttavia credo sia doveroso, anche sotto il profilo deontologico, non lasciare nulla d’intentato onde consentire il realizzarsi di quanto il Dottor Palumbo aveva a suo tempo pubblicamente affermato e cioè la volontà di tagliar fuori dalla procedura transattiva il minor numero di danneggiati possibile.
In conclusione un ringraziamento particolare all’On. Antonio Tomassini, Presidente della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanita’) che ha ricevuto i rappresentanti di alcune delle associazioni più rappresentative ed anche il sottoscritto lo scorso 21 aprile e che aveva promesso anch’egli di adoperarsi presso i soggetti competenti per garantire, almeno, un riesame in contraddittorio della nota questione nei suoi elementi più importanti (eliminazione dei riferimenti alla prescrizione, tutela anche ai non ascrivibili e parificazione tra le diverse categorie di danneggiati).
Ci auguriamo che la nuova settimana porti finalmente buone notizie.

Buon ponte a chi lo può fare

Avv. Simone Lazzarini