Anche la Commissione Tributaria Regionale si pronuncia sul bollo auto.

 Con Sentenza del 4/7/2008 n° 35/26/2008 – ormai passata in giudicato – la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia si pronuncia sugli avvisi di accertamento per il bollo auto.

Con la pronuncia in commento, confermando quanto già affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale, la CTR ha applicato lo Statuto del contribuente e censurato la lacunosità dell’avviso di accertamento che, nel caso di specie, non precisava se il versamento era stato “omesso” del tutto oppure “versato in ritardo” e richiamava una tabella che però non allegava.

Per tali motivi la Commissione Tributaria Regionale ha annullato l’avviso di accertamento condannando la Regione al pagamento delle spese di lite.

A scanso di equivoci è bene precisare che la Sentenza in commento riguarda un avviso di accertamento e non una cartella di pagamento che è un atto diverso, notificato da Equitalia e che deve rispondere ad altri requisiti formali e sostanziali.

È anche bene precisare che, anche se redatti in serie, non è detto che tutti gli avvisi di accertamento siano affetti dai vizi che hanno travolto quello impugnato. Bisogna quindi valutare caso per caso, esaminandoli, se gli avvisi sono viziati oppure no.

Per promemoria, infine, è bene ricordare che sia gli avvisi di accertamento sia le cartelle esattoriali vanno impugnati entro sessanta giorni dalla loro ricezione. Se si lasciano decorrere inutilmente detti sessanta giorni, difficilmente la situazione è reversibile.

Cani al guinzaglio: fin dove si spinge l’obbligo?

 Una curiosa sentenza che forse non sarebbe stata neppure pronunciata se i comuni, da un po’ di tempo a questa parte, non fossero preda di una sorta di (perdonate il latino maccheronico) vis multandi che li induce a sanzionare sempre e comunque infliggendo contravvenzioni di ogni genere e sorta.

Nel caso in esame un signore era stato multato perché portava a spasso il cane su un “tratturo” (sic.).

Il comune aveva irrogato la sanzione perché asseriva che il fatto era avvenuto in un centro abitato ed il cittadino, cui evidentemente non deve far difetto la pervicacia, dato che il Giudice di Pace gli aveva dato torto, ha promosso ricorso in cassazione affinché il supremo collegio, tra le altre questioni, in primis la necessità della contestazione immediata per le sanzioni amministrative diverse dalle contravvenzioni per violazioni al codice della strada, avesse modo di pronunciarsi sulla nozione di centro abitato.

Ricordato che, per le sanzioni amministrative diverse dalle violazioni del codice della strada non esiste l’obbligo di indicare subito le ragioni per le quali la contestazione non è avvenuta immediatamente, ben potendo tali ragioni essere indicate, come avvenuto nel caso di specie, anche in sede giudiziale, la Suprema Corte (Cass. 23820/2009) ha affermato che la nozione di centro abitato non può desumersi dalla semplice, asserita e generica presenza di “altre abitazioni”, essendo necessari più precisi riscontri. Esaminata la cartografia in atti, la Cassazione, ricordato che le sanzioni devono essere specifiche ed indicare il luogo esatto (via etc.) ed il momento esatto in cui sarebbe avvenuta la violazione contestata, ricordato, insomma, che il verbale deve contenere elementi inequivocabili che consentano di definire la fattispecie, ha annullato la sanzione, condannando il comune al pagamento sia delle spese di primo grado sia di quelle del giudizio di cassazione.

A prescindere dalla peculiarità, se non dalla bizzarria del caso di specie, sia consentita una nota forse un po’ polemica.

Ci si lamenta ed a ragione dell’eccessivo carico delle sedi giudiziarie evidenziando la carenza di strutture atte a farvi fronte.

Senza entrare nel merito di una questione sulla quale non è questa la sede per disquisire, basti osservare che meno sanzioni “a vanvera” comporterebbero sicuramente meno opposizioni e, di riflesso, un minor carico di lavoro per gli uffici.

A tale proposito, un più severo regime di condanna alle spese di giudizio, quale può senz’altro desumersi dal nuovo testo dell’art. 91 c.p.c. potrebbe forse costituire un più valido deterrente (indubitabilmente di più della mai abbastanza censurata prassi della compensazione, cui spesso i giudici ricorrono anche quando non ci sarebbero i presupposti) contro il proliferare di controversie assurde.

A tale proposito sarebbe interessante nel prosieguo verificare qual è la percentuale di soccombenza relativamente al capo delle spese di giudizio allorché una delle parti è la pubblica amministrazione rispetto ad analogo numero di casi in cui le parti sono semplici privati.

Ma si sa, Natale si avvicina e siamo tutti (?) più buoni.

Casa nuova, spese condominiali vecchie.

 È buona norma ricordarsi il disposto dell’art. 63 disp. Att. c.c. che prescrive “Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente“. Per questa ragione, è buona norma, quando si compra casa, chiedere il c.d. “certificato di pagate spese”, cioè un’attestazione che acclari che il venditore è in regola coi pagamenti condominiali.

E se non accade?

Come sopra letto, il condominio può chiedere ad acquirente e compratore il pagamento delle spese condominiali predette (cioè quelle relative all’anno in corso ed a quello precedente).

Come?

La Cassazione, confermando un precedente orientamento, esclude che il condominio possa chiedere un Decreto Ingiuntivo ad un ex condomino.

Con la recente Sentenza 23686/09 – sezione II – ha affermato che non esiste il “condomino apparente”. “L’obbligo di pagamento degli oneri condominiali ex art. 1104 c.c. è collegato al rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile”, quindi “alla perdita di quella qualità consegue che non possa essere chiesto né emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo” (conforme v. Cass. 23345/2008)

Ovviamente, questo non significa che il venditore moroso non debba pagare.

A così ritenere, infatti, si finirebbe per abrogare l’art. 63 disp. Att. sopra citato.

Su questo punto la cassazione ha così affermato “l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la concreta attuazione dell’attività di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione, cfr. tra le altre Cass. 12013/2004 (v. In motivazione); 6323/2003; 4393/1997.

L’obbligazione di corrispondere i contributi relativi al godimento dei beni e dei servii comuni può qualificarsi reale, nel senso che la titolarità del soggetto passivo è determinata in base al rapporto di natura reale esistente con la cosa al momento in cui sorge l’obbligazione” Giustamente, quindi si afferma “l’esistenza del credito azionato nei confronti del venditore  in quanto relativo alla gestione di beni e di servizi condominiali concernente un periodo di tempo anteriore alla vendita dell’appartamento“. (v. sempre Cass. 23345/2008) .

Quindi, l’ex condomino può essere richiesto del pagamento, ma non con un Decreto Ingiuntivo, che può essere pronunciato solo contro l’attuale condomino.

Se ne può dedurre che contro l’ex condomino sia possibile un atto di citazione ordinario.  

La Cassazione si pronuncia sul riparto di giurisdizione in materia di rifiuti.

 Si ricorderà che qualche tempo fa la Corte Costituzionale si era pronunciata sulla natura non tributaria della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

Quale conseguenza di tale pronuncia ora la Cassazione s’interroga sulla giurisdizione in materia.

Più precisamente, la Cass. si domanda ora se, in questa materia, debba continuare ad esistere la giurisdizione tributaria.

Osserva la Cassazione che   A favore della natura non tributaria è poi l’assenza, all’interno della disciplina della Tia, di norme riguardanti l’accertamento, le sanzioni e il contenzioso. Ulteriori elementi importanti sono costituiti dal fatto che la Tia è soggetta ad Iva ed è riscossa tramite fatture, non qualificabili come atti impositivi. Tutti questi elementi, che portano a escludere la natura tributaria della Tia, vanno considerati nel quadro normativo più generale nel quale si colloca il passaggio dalla Tarsu alla Tia e alla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, caratterizzato da una scelta legislativa per la privatizzazione che giustifica il passaggio dalla tassa alla tariffa con connotazioni di corrispettività.

Dunque, si domanda la Cassazione, se non si tratta di tributi, è giusto che decida in proposito la Commissione Tributaria?

Questa la risposta “Deve ordinarsi la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Cancelleria della Corte Costituzionale per l’esame della questione, rilevante e non manifestamente infondata, di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203 – convertito con modificazioni nella legge 2 dicembre 2005, n. 248 – nella parte in cui sono devolute alla cognizione della giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) lo smaltimento dei rifiuti urbani” (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 15/06/2009, n. 13894)

E quindi non resta che attendere la decisione in proposito della consulta.

Nelle more, e cioè in attesa che il Giudice delle leggi si pronunci, si ritiene che in materia continui a sussistere la giurisdizione tributaria.

La ragione è semplice: se si potesse affermare, in proposito, la giurisdizione ordinaria, l’ordinanza della Cassazione – che sostiene la giurisdizione tributaria in materia, ma ne mette in dubbio la legittimità – non avrebbe ragione di esistere.

È bene avvertire che questa questione non ha un’influenza diretta sulla questione relativa alla giurisdizione sulle controversie dirette ad ottenere il recupero dell’Iva indebitamente caricata sulle somme chieste a titolo di smaltimento rifiuti.