Transazioni: ecco la “nuova” tempistica, sperando non vi siano ulteriori differimenti

Nella mattinata di oggi, 27 novembre, ho avuto un breve e cordiale incontro presso gli uffici ministeriali con la Dottoressa Scalera alla quale ho chiesto lumi sulla tempistica della pubblicazione del/i decreto/i attuativo/i di quanto preannunziato con l’art. 33 della legge finanziaria varata ormai lo scorso anno ed anche a seguito della riunione convocata in tutta fretta lo scorso 31 luglio, quando erano stati prospettati tempi poi completamente disattesi.
Il primo dei due decreti – quello che dovrebbe fissare i criteri per il censimento preliminare delle posizioni pendenti – è stato oggetto del parere del Consiglio di Stato, parere che – sempre secondo quanto riferitomi – risulta essere stato depositato nei giorni scorsi.
Pertanto a giorni il decreto dovrebbe essere sottoposto alla firma del Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali il quale, secondo quanto riferito dalla dottoressa, è stato sensibilizzato sulle problematiche dei danneggiati e dovrebbe provvedere con celerità.
Successivamente il decreto dovrà passare alla firma del Ministro delle Finanze, dopodichè andrà in Corte dei Conti per essere poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Nel frattempo, di tali passaggi sarà data notizia sul portale web del Ministero e sarà contestualmente approntata la piattaforma informatica sulla cui base dovranno lavorare i legali per far pervenire a Roma le informazioni sui danneggiati necessarie per il perfezionamento della fase ricognitiva.
Quanto sopra dovrebbe avvenire entro la fine del corrente anno o all’inizio del nuovo. Continua a leggere

Le cartelle “plurioffensive”, il fermo amministrativo, l’ipoteca esattoriale e la dispersione delle giurisdizioni

 Diciamo subito che la definizione di cartelle “plurioffensive” è solo mia.

Chiamo cartella plurioffensiva la cartella con la quale Equitalia chiede la riscossione di più entrate, per esempio, tasse (Iva, Irpef etc.), contributi previdenziali, cioè dovuti all’INPS, sanzioni amministrative (cioè multe) e quant’altro.

A fronte di una cartella “plurioffensiva” possono seguire un fermo amministrativo od un’ipoteca esattoriale “plurioffensiva”.

Se si esaminano le comunicazioni di fermo (come sappiamo, per l’iscrizione ipotecaria non è previsto alcun obbligo di comunicazione), possiamo infatti notare che, a volte, il fermo è stato disposto perché in data X è stata notificata la cartella 1 per il tributo A e per la sanzione B, in data Y la cartella 2 per il tributo C, in data Z la cartella 3 per il contributo D e, a fronte di tutte queste pretese economiche, Equitalia ad un certo punto ha disposto il fermo (od iscritto l’ipoteca).

È possibile impugnare il provvedimento, davanti a chi e come?.

Come sappiamo (ci sono altri articoli sul tema e, non perché mi piaccia ripetermi, ma per brevità, rimando ad essi) la Visco – Bersani ha introdotto il principio secondo il quale fermo ed ipoteca sono atti autonomamente impugnabili innanzi alla Commissione Tributaria.

Sembrava, quindi, che il legislatore, in modo criticabile, se vogliamo, avesse stabilito una volta per tutte davanti a chi impugnare il fermo. Sembrava cioè che il principio fosse il seguente: non importa perché è stato disposto il fermo (o l’ipoteca): se sei nei termini e ci sono i presupposti, lo puoi impugnare in CTP.

Punto e basta? Nemmeno per idea.

Sul punto, a complicare ancor di più la questione (se possibile) interviene l’ordinanza 14831/2008 delle SSUU, resa il 5/6/2008.

Questo il fatto: il concessionario notifica a Tizio una cartella per contributi INPS e per sanzioni amministrative, poi dispone il fermo. Tizio impugna il fermo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. Questa si dichiara incompetente e Tizio propone regolamento di giurisdizione.

Questa la decisione delle Sezioni Unite, resa con l’ordinanza in commento: la Commissione Tributaria può decidere sulle impugnazioni di fermi amministrativi (e, aggiungo io, di ipoteche) solo se questi provvedimenti sono disposti per entrate di competenza della CTP (quindi, in pratica, per tasse). Se questi provvedimenti (fermo ed ipoteca) sono disposti per entrate differenti bisogna rivolgersi al giudice di volta in volta competente.

Il principio di diritto, testualmente, è perciò il seguente: “la giurisdizione sulle controversie relative al fermo di mobili registrati appartiene al giudice tributario solo quando il provvedimento impugnato concerna la riscossione di tributi“.

Se il fermo non è disposto per tributi (ma reputo che il principio valga anche per l’ipoteca) il Giudice Tributario “declinerà la propria giurisdizione rimettendo la causa innanzi al Giudice competente“. Nel caso di specie, poiché si trattava di contributi previdenziali, la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario del lavoro.

La Cassazione si è poi anche occupata delle cartelle, dei fermi e delle ipoteche che io ho chiamato “plurioffensivi”. In tal caso, sostiene il Supremo Collegio, “il Giudice adito separerà le cause, trattenendo quella per la quale egli ha giurisdizione e rimettendo la restante al Giudice competente. Il debitore potrà in ogni caso proporre originariamente l’impugnazione separatamente innanzi ai giudici diversamente competenti in relazione alla natura dei crediti posti alla base del provvedimento di fermo impugnato (o, aggiungo io, d’ipoteca)”.

Va dato atto alla Cassazione di aver dato risposta ad un quesito di ordine pratico – cioè quello delle cartelle “plurioffensive”.

Tuttavia, non posso che pormi almeno due domande.

Se fermo od ipoteca sono disposti per tributi nulla quaestio: il contribuente li impugnerà in CTP per vizi loro propri, se ci sono. Continuano a valere tutte le considerazioni svolte dopo l’entrata in vigore della Visco – Bersani.

Se fermo ed ipoteca non sono disposti per tributi, però… che cosa fare?

Innanzi tutto va rilevato che non può darsi una risposta generale per il semplice motivo che ci sono più giudici diversi davanti ai quali il processo si svolge secondo riti diversi e con strumenti differenti.

Mi sento tuttavia di avere forti dubbi circa il rimedio dell’opposizione all’esecuzione per la ragione che, almeno sinora, tutti sono concordi nel ritenere che fermo ed ipoteca sono strumenti prodromici all’esecuzione, ma non sono essi stessi strumenti esecutivi né atto di esecuzione.

Probabilmente, la forma di cautela più idonea sarebbe il ricorso ex art. 700 c.p.c. – che ora ha assunto contenuto definitivo.

Tuttavia, è bene aspettare qualche decisione sul punto – ma ormai la giurisprudenza non fa tempo a consolidarsi che interviene qualche renvirement legislativo o del Supremo Collegio.

Certo è che la dispersione dei ricorsi di qua e di là a seconda del giudice competente non è di aiuto al contribuente, che dovrebbe fare più ricorsi, e magari per importi contenuti, pur avendo ricevuto una sola cartella, un solo fermo od una sola ipoteca, quindi la divisione delle giurisdizioni comporta senz’altro una moltiplicazione delle spese, con l’inevitabile conseguenza di una compromissione della tutela per il cittadino.

La seconda domanda è che cosa accade se la cartella – o il provvedimento che dispone il fermo (per l’ipoteca… boh! ) – non indica i giudici davanti ai quali rivolgersi per contestare il provvedimento impugnato, con specificazione dei relativi termini.

Ferma restando la translatio iudicii suggerita dal Supremo Collegio, come sopra visto, ci si può domandare se tale omissione non sia vizio autonomamente censurabile dell’atto impugnato e quali conseguenze derivino dalla presenza di tale vizio.

Certo l’esattore non dovrebbe potersela cavare suggerendo di rivolgersi al giudice competente; perché, sarebbe forse possibile rivolgersi in modo proficuo al giudice incompetente?

Qualcuno si sarà forse domandato quale sia la ragione tecnica che ha spinto la Cassazione a pronunciarsi nel senso sopra illustrato.

La ragione tecnica è che la Visco Bersani ha modificato l’articolo 19 del DLT 546/92 cioè la norma sugli atti impugnabili, ma non l’art. 2, cioè la norma sulla giurisdizione.

Se lo avesse fatto, la Visco – Bersani sarebbe stata incostituzionale (v. le pronunce della Corte Costituzionale n° 64 e n° 130 del 2008).

Anche se dal punto di vista formale il ragionamento non è censurabile, mi si consenta di supporre (absit iniuria verbis) di assistere ad un conflitto di poteri tra Giudice Ordinario e Giudice Tributario e, come dice un proverbio africano, quando due elefanti si azzuffano ci va di mezzo l’erba.

La depurazione è una tassa? no… e quindi?

 La depurazione è una tassa?

La risposta sembra semplice: dal 1994 esiste – o dovrebbe esistere – il servizio idrico integrato, formato dai servizi di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua (v. l. 36/1994).

Per il servizio si esige il pagamento di una tariffa che è il corrispettivo del servizio.

Fognatura e depurazione costituiscono quota di tariffa.

Nel momento in cui si parla di corrispettivo del servizio si deve dedurre che, se il servizio non è prestato, il corrispettivo non è dovuto.

In realtà così non è – o meglio non era fino a poco fa – perché la legge del 1996 a cui si faceva riferimento stabiliva anche che “la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi“.

Quindi, anche là dove non c’è il depuratore, la depurazione va pagata. O, per meglio dire, andava pagata.

Infatti, con recentissima Sentenza 335/2008, la Corte Costituzionale ha affermato che la norma sopra citata ed anche quelle successive che l’hanno riprodotta in pratica tal quale (e cioè l’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 e l’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) sono incostituzionali in quanto violano l’art. 3 della Costituzione.

Questo, in estrema sintesi e con qualche inevitabile semplificazione, il ragionamento delle Corte Costituzionale.

Il cittadino stipula con l’ente che gli fornisce l’acqua una banale contratto di somministrazione.

Si tratta di un contratto di diritto privato, né più né meno, a causa del quale se c’è una prestazione c’è un corrispettivo (determinato dall’autorità, ma questo è un altro discorso), se non c’è una prestazione no.

Ne consegue che se il cittadino non usufruisce di un depuratore, non deve pagare la depurazione.

La corte si è anche posta un altro problema: se non c’è un depuratore, questo può essere costruito coi soldi degli utenti, riscossi proprio tramite le bollette. È giusto quindi imporre agli utenti un sacrificio economico in vista di un bene pubblico da costruire?

La risposta è no.

Secondo le leggi in questione (non tanto quella del ’94, quanto quelle successive), il denaro riscosso tramite bolletta è destinato alla realizzazione di un piano d’ambito, ma tale denaro viene chiesto non in considerazione del possibile costo del depuratore da costruire, ma del costo della (inesistente) depurazione tout court. Quindi, non c’è corrispettività tra costo della depurazione e costo del depuratore da costruire. In secondo luogo, il denaro riscosso può essere destinato alla realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al pagamento. Quindi, ancora una volta, non c’è corrispettività. In terzo luogo il denaro riscosso per la depurazione va al Comune, ma non è detto che sia il Comune a gestire il servizio idrico; la decisione su come e dove costruire il depuratore spetta a terzi: Province etc. L’utente non ha alcun potere su tale scelta, che viene decisa dall’autorità d’ambito, formata da Comuni e Province. Quindi, ancora una volta, non c’è corrispettività. Infine è da escludersi che le entrate in questione siano una tassa, un tributo, posto che si tratta di corrispettivo di tariffa e la tariffa è un unicum inscindibile che comprende somministrazione vera e propria d’acqua, fognatura e depurazione.

Pertanto – queste le conseguenze pratiche della Sentenza – se non c’è un depuratore la depurazione non va pagata.

Se invece l’acqua è depurata la somma è dovuta.

Sorge spontanea una domanda: che cosa accade alle somme pagate a titolo di depurazione in assenza di depurazione? – sempre che non si tratti di fattispecie già coperte da giudicato.

Bollo auto: le decisioni della regionale

Come forse qualcuno ricorderà, tempo addietro la CTP di Milano ebbe a pronunciarsi sulla regolarità formale degli atti di accertamento inviati dalla Regione Lombardia per richiedere il pagamento del bollo auto, rilevandone, in sintesi, la genericità e la non conformità allo statuto del contribuente.

Con recente  Sentenza la CT Regionale si è occupata ancora della questione.

La CTR ha ancora una volta rilevato che “l’avviso è redatto in forma stereotipata… non soddisfa l’obbligo , posto a carico dell’Ufficio (Regione), di indicare gli specifici motivi dell’accertemento stesso…  per identico caso (NB) la Regione ha fatto acquiescenza …” ed ha annullato l’avviso.

Va da sè  che il principio vale per gli avvisi identici a quello in esame e cioè affetti dagli stessi vizi di genericità ed incompletezza.

La CT Regionale, di proprio, ha aggiunto che esiste un obbligo, posto a carico dell’Ufficio (Regione) di specificare i motivi dell’accertamento, negando che l’avviso di accertamento stesso possa essere una “presunzione di omesso pagamento“.

Un altro colpo, dunque (ma quanti ne occorreranno ancora?) alla concezione secondo la quale gli atti di accertamento sarebbero provocationes ad opponendum, concezione, quest’ultima, non certo in linea con lo Statuto del contribuente, ma che ancora tenacemente resiste in molti organi ed uffici.