Ampliati (con giudizio) i poteri dell’amministratore nelle controversie condominiali

Con la recente Sentenza 18311 del 6/8/2010 le Sezioni Unite della Cassazione intervengono su una questione spinosa ed in relazione alla quale esistevano, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, due orientamenti contrapposti.

Questa la domanda: può l’amministratore, senza autorizzazione dell’assemblea, costituirsi in giudizio od impugnare decisioni sfavorevoli al condominio?

Le Sezioni Unite hanno risposto in senso affermativo, sposando l’orientamento maggioritario, ma hanno anche imposto all’amministratore di informare l’assemblea per far ratificare il suo operato. In difetto di tale ratifica, l’impugnazione o la costituzione in giudizio devono essere dichiarate inammissibili.

Ma non solo.

L’amministratore che violi tale dovere d’informativa è responsabile dei danni che il condominio dovesse subire.

Discorso diverso, invece, per il caso in cui è il condominio ad agire, cioè per il caso in cui non si limita a contrastare un’azione giudiziale altrui impugnando e costituendosi in giudizio, ma per così dire (la definizione è un po’ imprecisa, ma spero più comprensibile) “agisce per primo”.

In questo caso l’autorizzazione dell’assemblea è necessaria prima d’instaurare il giudizio.

Limitando la disamina ai punti più salienti della Sentenza.

Premesso che in materia di condominio negli edifici, l’organo principale, depositario del potere decisionale, è l’assemblea e che l’essenza delle funzioni dell’amministratore è imprescindibilmente legata al potere decisionale dell’assemblea, le SSU affermano a chiare lettere che anche in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere all’amministratore. Tuttavia l’amministratore ha per legge una rappresentanza passiva … estesa a qualunque azione proposta contro i condomini, e pertanto anche alle azioni di carattere reale, purché si riferiscano alle parti comuni. Questa rappresentanza passiva ha carattere generale che gli viene attribuita dall’art. 1131 2°comma c.c. Secondo le SSUU, tale legittimazione rappresenta il mezzo procedimentale per il bilanciamento tra l’esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva (urgente) difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, che deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale. Pertanto L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.

La Sentenza è palesemente ispirata, oltre che da ragioni logico – giuridiche, da un criterio di buon senso. È frequente che, dato che i termini processuali sono stretti, l’amministratore non abbia il tempo di indire l’assemblea oppure che non si raggiungano i quorum. In tali occasioni di “emergenza processuale” l’amministratore, per evitare pregiudizi può quindi agire subito.

Però deve avvisare i condomini appena possibile (le SSUU non dicono esplicitamente quando: è lecito dedurre che tale subito possa essere “la prima assemblea utile”, ma non è da escludere che si possa anche configurare il dovere, per l’amministratore, d’indire un’assemblea straordinaria. Soprattutto, deve limitare l’uso di questo potere eccezionale ai casi in cui, per così dire, il condominio è “attaccato” giudizialmente o da una causa promossa da qualcuno oppure da una Sentenza sfavorevole.

Dato che non erano questioni su cui dovevano decidere, le SSUU lasciano aperti almeno due problemi: che cosa succede agli atti compiuti se l’operato non viene ratificato e a quali conseguenze patrimoniali va incontro l’amministratore che viola il dovere di informativa.

Quanto alla prima domanda (efficacia degli atti) ritengo che essi, anche se perdono efficacia processuale, potrebbero mantenere una qualche forma di efficacia sostanziale perché l’oggetto dell’assemblea, se non diversamente precisato, riguarda l’azione, non il diritto.

 Quanto alla seconda domanda (conseguenze per l’amministratore che violi il dovere d’informativa), la Suprema Corte ha espressamente affermato che tale omissione è giusta causa per la revoca del mandato ad amministrare (l’amministratore “silenzioso” potrebbe quindi essere sfiduciato), mentre quanto ai “danni” reputo che essi vadano valutati tenendo presenti tutte le conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’instaurazione di un giudizio non autorizzato (che in teoria potrebbero però anche non esserci perché un contumace non è necessariamente perdente in giudizio).        

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